Il muro al Brennero è la fine dell'Europa
Il muro al Brennero è la fine dell'Europa
Nel giorno dell’incontro a Roma, venerdì scorso, tra il premier italiano Matteo Renzi e il cancelliere austriaco Werner Faymann, Vienna ha annunciato che al Brennero tornerà la frontiera. Nel giro di due mesi sarà costruita una barriera per bloccare ingressi incontrollati di migranti al confine fra Austria e Italia. Vent’anni dopo l’entrata in vigore di Schengen, un «muro» torna a dividere i due Paesi. Verrà ripristinato il posto di blocco, con una sorta di check point dove i gendarmi austriaci saranno incaricati di controllare i documenti di chi passa, eseguendo le ispezioni e le operazioni di smistamento degli stranieri.
Per il Trentino Alto Adige, per l’Europa intera, è un salto indietro di settant’anni. Un ritorno drammatico e pericoloso alle divisioni e alle ferite della Prima e della Seconda Guerra mondiale.
Dopo la barriera innalzata tra Ungheria e Croazia, quella tra Macedonia e Grecia, e tra Austria e Slovenia, il ritorno della sbarra al Brennero assesta un ulteriore destabilizzante colpo all’Europa e alle sue fondamenta. La gravità di quanto sta avvenendo non è percepita nella sua dimensione e nelle sue conseguenze devastanti né dall’opinione pubblica europea, né dalle élite politiche.
Se non affrontata e gestita con forza politica, coraggio, visione e un profondo credo nei comuni valori europei, quanto sta accadendo in queste settimane, in questi mesi, rischia di essere l’inizio della fine. Un’Europa che non sa tenere aperti i confini interni, è un’Europa che è già morta, travolta dalla paura, dagli egoismi nazionalisti, dalla mancanza di una classe dirigente all’altezza del momento, capace di governare l’epocale spostamento di popoli in atto senza venirne sopraffatta.
Quando De Gasperi, Adenauer, Schuman posero le basi perché il sogno europeo si traducesse in realtà, quando trent’anni fa si costruirono le fondamenta della libera circolazione fra Stati uniti della stessa Unione, i confini erano quelli interni fra le nazioni. Erano le frontiere che per secoli avevano insanguinato il vecchio Continente di guerre fratricide, falcidiato intere generazioni, devastato terre confinanti percorse in largo e in lungo dagli stessi eserciti in nome della sovranità nazionale. Nessuno pensava che il confine potesse essere quello esterno, allora protetto dalla divisione del mondo in blocchi e vigilato dal potente alleato americano.
Ci si illuse che l’Europa sarebbe nata semplicemente togliendo le frontiere fra gli Stati, senza costruire veramente un’Unione, politicamente e istituzionalmente coesa, non solo aggregata dal punto di vista monetario e burocratico.
Il confine dell’Europa non è mai stato avvertito, perché nelle classi dirigenti prima che nelle opinioni pubbliche, l’identità e la visione restavano nazionali. Gli interessi da perseguire quelli statali. Quindi non c’è mai stato un confine europeo, sentito come tale da tutti gli europei. Da controllare, proteggere, anche difendere insieme se necessario. Garantendo sicurezza, oltre che solidarietà, all’Europa e non solo ai singoli Stati.
C’è voluto l’arrivo di masse di disperati, in fuga dalla guerra, dalla fame e dalla morte per mostrare che il re è nudo. Che l’Europa non c’è, se non percepisce l’esistenza di un unico confine, un’unica strategia di accoglienza e controllo dei profughi, un’unica risposta solidale e convinta, un unico destino.
La costruzione dei muri sui tracciati delle vecchie frontiere ha messo in chiaro la fragilità delle fondamenta europee e l’incompiutezza del percorso di unione. È la risposta sbagliata, al momento sbagliato. Se non fermata in tempo sarà la miccia che farà esplodere la dissoluzione, perché non sono i muri ai vecchi confini che vanno rialzati, ma serve un’unica politica da mettere in campo di fronte alla marea montante di migranti, un’unica frontiera da percepire e tutelare, dal mare del Nord a Pantelleria, dall’isola di Lesbo alla Manica.
La sfida in atto non è fra accogliere o non accogliere i profughi, non è se difendere o non difendere i confini nazionali, ma se la costruzione europea ha ancora futuro. Se c’è spazio per un’Unione vera, che sa affrontare i problemi e dare risposte concrete e non solo belle parole, o se le lancette sono destinate inesorabilmente a tornare indietro di un secolo, segnando la fine del vecchio Continente e la sua ininfluenza nel mondo, con l’inevitabile ritorno degli odi nazionali, forieri di guerre e distruzioni.
Non c’è Europa in quello che sta facendo in questi giorni Vienna. Non c’è Europa nei muri dell’Ungheria, della Slovenia, ma anche nell’ottusità di Parigi, Londra, Varsavia, Berlino che non comprendono come ogni bambino che muore nell’Egeo o al largo della Sicilia è un dramma europeo, non italiano o greco.
Per la nostra regione, per il Trentino Alto Adige, la barriera che si sta rialzando al Brennero costituisce un trauma ancor più profondo, una ferita che viene riaperta e fatta sanguinare. Anni di parole e proclami sull’Euroregione alpina, sui comuni interessi e legami che uniscono Trentino, Sudtirolo e Tirolo vengono spazzati via in un colpo solo, con una deriva nazionalista e xenofoba foriera di cupi scenari futuri.
È il messaggio più sbagliato che si potesse dare alle opinioni pubbliche impaurite dei due Paesi. Non farà altro che innalzare i sospetti, le paure, le incomprensioni fra Italia e Austria, fra Tirolo e Trentino, tra fratelli di sangue separati dal fascismo e riseparati dal governo socialdemocratico del cancelliere Faymann, nel silenzio più totale del Land Tirolo e del suo Landeshauptmann Günther Platter.
Con 11 milioni di siriani in fuga dall’Isis e dalla guerra, con fiumane di popoli che dal continente africano si stanno riversando nel Mediterraneo, non sarà la barriera al Brennero che preserverà Innsbruck e Vienna, e risolverà i problemi. Renderà ancor più fragile e inconsistente la risposta europea, in un’isteria imitativa fra Stati, che sta contagiando la Francia, la Gran Bretagna, la Polonia e i Paesi del Nord.
Avrà solo l’effetto di ammassare migliaia di stranieri al Brennero, in cerca di vie di fuga, pronti a nascondersi ad ogni controllo, riversando sulla nostra regione il compito di accoglienza dei profughi, senza una prospettiva di futuro.
Per l’Europa questa è l’ultima chiamata. Altrimenti resteremo l’ultima generazione ad essere stata europea.