Orso: perché oggi siamo in piazza
Orso: perché oggi siamo in piazza
Chiedo ospitalità per un commento sulla vicenda dei “grandi carnivori” e del loro rapporto con l’agricoltura di montagna. Lo faccio nel giorno della manifestazione che Coldiretti (Unione Contadini, nell’accezione locale storica) ha indetto per oggi a Trento. Credo sia giusto portare all’attenzione della pubblica opinione le buone ragioni che i contadini hanno di fronte a un fenomeno che in parte li preoccupa e in parte li spaventa. Invito i partecipanti a non accettare provocazioni, a comportarsi in modo irreprensibile proprio in virtù delle buone ragioni di fondo. In un periodo in cui il frastuono e le urla sguaiate di chi cerca attenzione appaiono come la colonna sonora della nostra esistenza sarebbe significativo sfilare in silenzio. Vorrei cominciare la riflessione con uno sguardo al passato per dire che 40 anni fa i pascoli alti e le malghe sembravano destinati al declino.
Vestigia di una cultura arcaica ormai fuori dal tempo e dalla modernità, male si sposavano con una agricoltura ed un allevamento che aveva compiuto la sua trasformazione da modello produttivo di autoconsumo a modello produttivo di mercato. Fu in quegli anni che i diversi attori che si muovevano attorno al mondo agricolo locale pensarono e realizzarono una serie di riforme che restituirono, col tempo, ruolo e dignità a quei luoghi e alle persone che vi lavoravano mantenendoli vivi e frequentandoli lungo tutta la stagione estiva.
Vanno ricordati gli attori che impostarono e realizzarono questo progetto di medio-lungo periodo: il mondo politico-amministrativo provinciale, forte della competenza primaria in agricoltura e sensibile alla salvaguardia del patrimonio storico delle nostre piccole comunità di montagna, la struttura tecnico-burocratica dell’assessorato all’agricoltura che è stata per 50/60 anni un motore instancabile dello sviluppo agricolo provinciale, le associazioni sindacali e di categoria in costante, proficuo dialogo con la pubblica amministrazione, diversi enti di ricerca che contribuirono dal punto di vista tecnico a trovare forme innovative di alpeggio pur nel rispetto della tradizione, infine associazioni di uso civico, consortele e comuni come proprietari.
Fu impostato un piano che, secondo gli indirizzi della politica agricola comunitaria, si muoveva su una prospettiva di agricoltura multifunzionale che univa allevamento - paesaggio - turismo - funzioni ludico sportive e ricreative.
Esiste ancora molto da fare e da migliorare ma con lo sguardo dell’oggi possiamo dire che il progetto è sostanzialmente riuscito. Dal punto di vista agricolo questo consente di valorizzare alcune peculiarità della nostra terra, proponendo un modello alpino di allevamento (il giovane bestiame pascola per quasi sei mesi all’anno, le vacche per tre mesi) che è quello che anche l’opinione pubblica chiede e ciò che si aspettano i nostri ospiti. Si sta sviluppando sulle malghe una forma di turismo dolce, di piccola ospitalità e ristorazione che è una delle nuove frontiere turistiche. Si è contribuito al mantenimento del caratteristico paesaggio alpino, dove le radure prative si alternano alle conifere, altrimenti destinato a scomparire perché il bosco tende in pochi anni a invadere e fagocitare i “pascoli alti”.
Alla luce di queste considerazioni mi chiedo e vi chiedo: sarà ancora possibile tutto ciò fra dieci, venti, trenta anni? Mi sforzo di pensare di sì, ma qualche dubbio mi tormenta. Non ho nulla contro orsi e lupi e non mi sogno neanche lontanamente di chiedere abbattimenti selvaggi. Osservo che “progetto orso” e “progetto lupo” sono perfettamente riusciti, gli animali si sono ambientati bene e si stanno moltiplicando, hanno trovato un ambiente accogliente e privo di nemici naturali. Mi chiedo però per quanti anni potremo andare avanti senza una gestione dei progetti e senza un controllo e contenimento del numero degli esemplari. Credo che in un futuro non lontano gli esemplari aumenteranno e i problemi di convivenza anche e a un certo punto qualcuno dovrà dirci se si potrà ancora praticare l’alpeggio o se gli allevamenti dell’arco alpino dovranno essere trasformati in micro-allevamenti intensivi dove gli animali nascono, vivono e muoiono al chiuso, senza mai pascolare per non essere aggrediti da lupo e orso. Qualche allevatore particolarmente colpito dalle scorribande dei grandi carnivori comincia già a chiedersi se non valga la pena di rinunciare alla pratica secolare della transumanza e dell’alpeggio.
Siamo sicuri di volere proprio questo? Considerando che la montagna dell’arco alpino è fortemente antropizzata, è possibile con metodi scientifici un calcolo sul numero di grandi carnivori conciliabile con gli attuali modelli di vita in montagna o dovremo scendere dai monti per fare posto a lupi ed orsi?
La nostra Provincia Autonoma avrà la forza di chiedere, come ha fatto in un recente passato, la gestione diretta dei progetti, avendo già dato prova con i parchi dello Stelvio, Adamello Brenta, Paneveggio Pale di San Martino di grande professionalità e competenza in questi settori?
Mi pongo queste domande e penso che ha fatto bene il Bauerbund ad organizzare i falò e bene fa l’Unione Contadini a sfilare oggi, magari in silenzio, con i suoni dei campanacci come quando si va in alpeggio.