Battisti interventista contestato a Reggio Emilia

Battisti interventista contestato a Reggio Emilia

di Luigi Sardi

Dal «Giornale di Reggio – Quotidiano Liberale» di venerdì 26 febbraio 1915 il titolo a tutta pagina: «Il tragico conflitto di ieri sera in Piazza Cavour – Una folla di dimostranti tenta di impedire l’ingresso alla conferenza dell’on. Cesare Battisti – La sassaiola contro carabinieri e soldati – Squilli di tromba e colpi d’arma da fuoco – Un morto e 4 feriti gravissimi».
 
Invece i morti furono due: Mario Baricchi colpito alla testa e Fermo Angioletti, uccisi dal fuoco dei Carabinieri davanti al Politeama Ariosto. Erano operai, avevano 18 anni come molti altri feriti che manifestavano contro la voglia di guerra cercando di impedire il comizio interventista di Battisti, forse consapevoli che, per la loro giovane età, sarebbero stati subito chiamati alle armi nella guerra contro l’Austria invocata dall’oratore arrivato dal Trentino.

Già nell’ottobre del 1914 gli interventisti a nome dell’Associazione «Trento e Trieste», avevano invitato Battisti nella città dove era nato il Tricolore, e a gennaio avevano rinnovato l’appello assieme all’Associazione Democratica Reggiana e al Comitato Interventista. La lettera d’invito accennava «alle grandi difficoltà dell’ambiente» in una città dove le forze neutraliste erano imponenti, perché imponente era il movimento socialista come si legge nel libro «Con Cesare Battisti attraverso l’Italia» scritto da Ernesta Bittanti Battisti, pubblicato a Milano da «Fratelli Treves Editori» nel 1938, XVI dell’Era Fascista, per ricostruire «ciò che Battisti fece, nell’anno della neutralità, per esortare, convincere, preparare gli Italiani all’ardua prova della guerra».

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Nella città il clima era di forte esaltazione e la tensione aumentò durante la giornata del 25 febbraio quando fra gli operai delle Officine Meccaniche Reggiane venne diffuso un volantino di protesta contro il comizio e l’idea della guerra stampato, forse, dei lavoratori della Cooperativa Tipografi, la dura ala antimilitarista del partito socialista. Nel manifesto lo slogan: «Ma la guerra no. Non un uomo, non un soldo».

Il sindaco Luigi Roversi decise, nel timore di incidenti, di vietare la manifestazione in piazza e gli organizzatori scelsero il teatro comunale ricevendo un secco no da parte del Municipio amministrato dai socialisti e così il comizio, aperto solo per biglietto di invito e a pagamento, si tenne al Politeama Ariosto presidiato da un reparto di fanteria, uno di cavalleria e da molti Carabinieri Reali.

Piazza Cavour venne tenuta sgombra ma attorno alle 21, mentre il sindaco in piedi su una panchina improvvisava un comizio in favore della neutralità e della pace, cominciò una violenta sassaiola e alcuni Carabinieri rimasero feriti. Gli uomini dell’Arma, dopo i rituali squilli di tromba che ordinavano lo scioglimento della manifestazione, aprirono il fuoco. Mario Baricchi venne ucciso all’istante, altre dieci persone – fra loro Fermo Angioletti che morirà in ospedale – rimasero seriamente ferite.

Ancora dal libro di Ernesta Bittanti: «Per alcuni minuti si ebbe uno scambio di sassate e colpi di daga (la sciabola usata di piatto, nda) a cui successe una funesta scarica di armi. Le gravi ferite furono quasi tutte nel dorso. I feriti erano dunque dei fuggenti. Mentre fuori accadevano così gravi fatti, Battisti nel teatro parlava della necessità della guerra all’Austria… Battisti e il pubblico uscirono dal teatro fra due ali di truppa, quando però il tumulto era sedato e la folla quasi dispersa».

Il giorno dopo la sezione reggiana del partito socialista dichiarò lo sciopero generale contro quelli che ormai erano i violenti venti di guerra. Negozi, fabbriche, officine, cantieri chiusi per «lutto proletario» come si legge sui manifesti; bandiere rosse abbrunate e il canto della Carmagnola con quel ritornello che fa: «Dinamite ai palazzi e alle chiese, pugnalate l’odiato borghese» che terrorizzava i benpensanti. Ancora dagli scritti di Ernesta Bittanti: «L’opposizione neutralista di Reggio apparve, fra quelle manifestate nelle altre città italiane, la più nettamente e schiettamente operaia, socialista, idealista, ispirata ai principi dell’internazionale e della pace».Una vicenda quasi cancellata dalla memoria collettiva con quei due giovani poi indicati dai socialisti come i primi Caduti della Grande Guerra.

A Vienna il giornale clericale «Reichspost» sottolineava che le dimostrazioni di Reggio erano avvenute in occasione della conferenza di Battisti «che allo scoppio della guerra scappò all’estero ed ora va aizzando gli animi nelle adunate pubbliche contro l’Austria, la sua patria».
La vicenda rimbalzò lunedì 1 marzo sulle pagine del giornale «il Trentino» diretto da Alcide Degasperi sotto il titolo «La proibizione dei comizi in Italia».

A Roma il presidente Antonio Salandra, rispondendo alle interrogazioni dei parlamentari socialisti, informò che il Consiglio dei ministri «ha ritenuto necessario e urgente ribadire la proibizione dei comizi pubblici pro o contro la guerra» decidendo che «in seguito ai gravi inconvenienti verificatisi, e che si teme debbano ripetersi per la crescente agitazione degli animi, di estendere la proibizione anche ai comizi privati».

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Salandra «confida che la Camera vorrà approvare questo provvedimento il quale ha solo l’intento di impedire che l’antico, ignobile fermento della guerra civile avveleni l’anima italiana». E quando Filippo Turati il più importante leader del socialismo italiano disse «che la più ampia libertà di discussione è necessaria perché il governo non si esponga al pericolo di dover dire un giorno al Paese: devi marciare ed accorgersi che il Paese non marcia», Salandra rispose fra le frenetiche acclamazioni del Parlamento: «Io non so se la nazione sarà chiamata o no a marciare, ma so bene che se quel giorno e quell’ora dovranno scoccare, la nazione intera marcerà come un sol uomo alla parola della Patria e del Re».

Era il 27 febbraio del 1915. Mancavano tre mesi alla guerra contro l’Austria. Una curiosità. In quel giorno arrivò dal fronte francese la notizia che i tedeschi avevano impiegato per la prima volta, il lanciafiamme.

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