Sulle tracce del bene
Sulle tracce del bene
Da Saviano in giù, è il male che domina le classifiche di vendita e gli ascolti tv. Il bene, è vecchia verità, non fa notizia. A meno che non si travesta da Batman per ripulire Gotham City. Controcorrente, come un sano antidoto, esce dunque un bel libro intitolato «La vita non è il male». Lo firmano, in coppia (come dire che il bene non è una virtù solitaria) Gabriella Caramore esploratrice del mistero (voce e anima di «Uomini e profeti» su Radio3) e Maurizio Ciampa, scrittore e autore radio-tv di vaglia.
In cinque capitoli a metà strada tra il saggio e la meditazione, tra le pagine della Bibbia e i grandi film che ci inquietano, gli autori si domandano e ci domandano quale sia il segreto della miracolosa resistenza e persistenza di tracce di bene, di luci di bene, dentro il tunnel buio di una storia che, anche a partire solo dall'inizio del Novecento, secolo delle grandi stragi, ha accumulato cataste di corpi umani uccisi, torturati, annichiliti da altri esseri umani («Se vuoi un'immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano - per sempre», fa dire profeticamente George Orwell a un personaggio di «1984»).
La risposta di Caramore e Ciampa non si affida solo alla filosofia o alla teologia: se non altro perché le religioni non sono certo esenti da crimini blasfemi nel nome di Dio. No, C & C preferiscono, da cronisti del presente (e delle tracce d'eterno nel presente) e del passato, rintracciare nelle storie concrete dei giusti i segni e i semi del bene. E avvertono: il giusto non è un santo, può anche fare un solo gesto giusto nella sua vita. Ma se quel gesto salva una vita umana, salva il mondo, riscatta da solo, silenziosamente, montagne di male.
I giusti narrati con pochi tratti efficaci nel libro sono famosi e non. Ci sono Etty Hillesum, che non riesce a odiare i suoi persecutori nazisti; Dietrich Bonhoeffer che anche in carcere, aspettando la forca, si sente libero e protetto da potenze benevole; Sophie Scholl che con la Rosa Bianca ha sacrificato i suoi vent'anni nel nome della libertà; i sette monaci della montagna algerina che non hanno abbandonato il loro popolo e hanno atteso, per amore, l'incontro fatale con i tagliateste islamisti.
Ma ci sono anche Antoine Leiris, l'uomo che ha perso la giovane moglie negli attacchi terroristici di Parigi e che scrive: crescerò il mio bambino di 17 mesi fuori dall'odio per voi assassini, «questo bambino vi farà l'affronto di essere libero e felice». O il commesso Lassana Bathily, islamico parigino nato nel Mali, che salva gli ostaggi dell'Hypercacher nascondendoli nella cella frigo. O la parmigiana Adalgisa che, appena finita la guerra, salva dal linciaggio il giovane fascista che le ha ucciso il figlio per non voler sommare dolore a dolore: «Ce l'hai una madre? Va', torna da lei».
Vedere nell'altro il nostro volto, non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi, ritrovare le ragioni della fraternità che tutte le fedi predicano ma non sempre mettono in pratica, è l'unica strada per non abbandonare il mondo al male. Significa anche avere fiducia che l'altro abbia un soprassalto di umanità. Come Armin Wegner, che dopo aver svelato al mondo il genocidio degli armeni del 1915, diciotto anni dopo si appella al neoeletto cancelliere Hitler per chiedergli di difendere gli ebrei e salvare così il futuro della Germania. Hitler farà annientare gli ebrei. E la Germania. Il male distrugge ma è anche una pulsione suicidaria.
Vasilij Grossman, nel suo sconfinato romanzo «Vita e destino», pur testimonando le atrocità dell'umanità condannata ai lager e ai gulag, intravede una piccola speranza nella «bontà sciocca», nel senso di non meditata, non calcolata, imprudente ma spontaneamente umana, forte finché è muta, non proclamata, un «granello radioattivo sbriciolato nella vita».
Gabriella Caramore e Maurizio Ciampa, sapendo come il male (potete anche chiamarlo Satana, il nemico) si può annidare nel cuore diviso confuso e irrisolto dell'uomo, non annunciano un'era dell'Acquario in cui l'amore finalmente e universalmente trionferà. Ma ci invitano a non sottovalutare le tracce del bene, «schegge di bontà senza ritorno» le chiama il poeta Franco Marcoaldi, di quanti - anche solo per un minuto, per un'ora, per una vita - fanno proprio il dolore degli altri e li aiutano a sopportarlo: «Il mondo, crediamo, resterà irredento. Ma asciugare una lacrima, suscitare un sorriso, tracciare un segno di bellezza in una vita oppressa è quanto al mondo si possa desiderare per poter affermare che la vita non è il male».