Campanelli anti-orso? Aumentano i pericoli
Campanelli anti-orso? Aumentano i pericoli
Appresa dall’Adige la notizia che la Cassa rurale di Rovereto intende finanziare la distribuzione di campanellini «scaccia orso» ai bimbi che frequentano le colonie estive della Fondazione Museo civico di Rovereto mi corre l’obbligo di rilevare come tale iniziativa, al di là del suo contenuto demagogico (a sostegno del «pensiero unico» pro orso), esponga i ragazzi che si avventureranno sui sentieri nei boschi ad un ancor più grande pericolo inducendo l’illusione di essere in qualche modo protetti e dotandoli di uno strumento che può aumentare e non ridurre il rischio di incontro con orsi men che timidi e «vegetariani» (orsi che, purtroppo, esistono solo nella propaganda del servizio foreste della provincia).
La raccomandazione relativa all’uso dei campanelli non rappresenta altro che una misura palliativa mutuata dalle esperienze dei Parchi nazionali del Nord America (di superficie più ampia del Trentino), aree con un grado di antropizzazione pari a zero dove non sono esercitate attività agropastorali (essendo i templi della religione della wilderness). Ma nel contesto trentino, alpino, europeo il territorio è ancora (nonostante gli sforzi delle lobby ambiental-animaliste e dei poteri forti che le supportano) fortemente interessato dalle attività agropastorali.
Greggi ovicaprini, mandrie bovine, branchi di equini utilizzano pascoli in prossimità di aziende e di centri abitati come degli alpeggi, spesso sino al limite delle nevi perenni, delle rocce e dello stesso piano sommitale. Durante il periodo dalla primavera all’autunno i nostri animali compiono, spesso ancora a piedi, i trasferimenti dai villaggi ai maggenghi e quindi agli alpeggi. Custoditi dall’uomo o da «pastori elettrici» (recinti e reti con filo elettrificato alimentati da batterie), liberi di muoversi sulle ampie superfici dei pascoli di alta montagna, durante gli spostamenti diurni dal pascolo ai ricoveri o alle postazioni di mungitura i nostri animali hanno sempre appese al collo campani di diversa foggia e dimensione, dai grossi campanacci delle vacche da latte di maggior «prestigio» ai campanelli dal suono argentino e alle bubbole di agnelli, capretti e vitelli.
L’animale impara ad utilizzare queste «macchine sonore» per i propri scopi divenendo esso stesso uno «strumento musicale» mentre l’uomo continua ad utilizzare i campani (da quando esiste l’arte metallurgica) per individuare animali a lui invisibili perché celati dalla nebbia o nel folto della vegetazione arborea e perché imprimono un ritmo al pascolamento stimolando l’ingestione di foraggio e quindi le produzioni. Da tutti questi «strumentisti» animali si crea nel contesto del territorio agrosilvopastorale un «paesaggio sonoro» che gli orsi ben conoscono.Di certo guidati più dall’olfatto che dalla vista e dall’udito i plantigradi, in forza dell’intelligenza che li contraddistingue, hanno comunque imparato a distinguere nella sinfonia pastorale dei campani i suoni prodotti da animali più o meno numerosi, di maggior o minor taglia, di maggior o minor vigore. Acquisiscono sicuramente esperienza del suono dei campani quando inducono alla fuga gli animali che hanno avvertito mediante l’olfatto la loro presenza.
La premessa era necessaria per mettere a fuoco il fatto che gli orsi conoscono sin troppo bene il suono dei campani e dei campanelli, di ogni foggia e dimensione. Non c’è quell’effetto determinato nelle foreste nordamericane dal loro trillo sconosciuto e fastidioso. Ma c’è di peggio: l’orso ha imparato ad associare alla presenza del suono dei campani e campanelli quella di facili prede, di carne abbondante e disponibile senza rischio (stante la sciagurata politica che pone l’orso sul piedistallo dell’idolo intoccabile, del tabù).
Su questo punto ho inteso raccogliere il parere di uno specialista, il prof. Giovanni Mocchi, etnomusicologo (autore, tra l’altro, del volume “Campanacci, fantocci e falò. Riti agropastorali di risveglio della Natura”. Regione Lombardia, 2014), il massimo esperto di campani, sia da pascolo che da uso rituale.
Ecco cosa mi ha scritto Mocchi su mio invito: «Tutti i mammiferi sono in grado di apprendere velocemente l’associazione tra cibo e suono. Il famoso esperimento di Pavlov che ha dato origine alla psicologia dei riflessi condizionati, ha appunto dimostrato che il cane che ascolta ripetutamente un suono di campanella prima che gli venga offerto del cibo, secerne succo gastrico non alla diretta visione del cibo, ma fin dal momento del trillo della campanella. Per analogia, l’orso che preda un gregge, associa il suono delle campanelle delle pecore proprio alla possibilità di trovare cibo. Piuttosto che scacciare l’orso, dunque, le campanelle sono un segnale per attirarlo. Questa evidenza scientifica, che valse nel 1904 il premio Nobel a Pavlov, sconfessa drasticamente i fautori della proposta di regalare ai bambini una campanella per scacciare l’orso, che in tal modo correrebbero invece un pericolo ancora più grave, nell’essere associati a prede inermi. Gli ‘esperti’ della Provincia di Trento non fanno che innescare un pericolosissimo corto circuito. I genitori ne devono essere consapevoli.
L’unica evidenza storica dell’uso di campanelli e di campanacci per scacciare animali feroci si riscontra nei rituali di cacciata dell’inverno ancora persistenti in diverse parti d’Europa e Italia. In questi riti spesso c’è la presenza dell’orso, impersonificato da un uomo travestito, a fianco del quale uomini muniti di campanacci svolgono la funzione di ammansire le forze selvagge della Natura, di cui l’orso è sempre stato simbolo per antonomasia.
La trovata della Provincia non fa dunque che richiamare questo uso magico del suono, con il merito - inconsapevole - di dare continuità a tradizioni radicate nelle comunità alpine. Ma non è col mito che si può affrontare il problema dell’orso».
Non occorre aggiungere altro.