Nba avvisata: i Warriors fanno paura anche quando perdono

di Giorgio Lacchin

Nel big match di San Antonio, i Golden State Warriors erano senza il centro titolare (Bogut), la sua riserva (Ezeli) e anche il miglior giocatore della finale 2015 (Iguodala). Hanno avuto una percentuale al tiro imbarazzante e del tutto inusuale (37,8% e in particolare un incredibile 25% da tre punti). Hanno abbondantemente perso la sfida ai rimbalzi (37 a 53) e hanno presentato le controfigure dei fenomeni Curry e Thompson (rispettivamente 14 e 15 punti con un complessivo 2 su 19 nelle «bombe»).

Eppure gli Spurs hanno fatto una fatica boia a spuntarla. Fossimo al posto di coach Popovich saremmo preoccupatissimi. I texani hanno giocato alla morte in difesa. Hanno raddoppiato, anche triplicato Curry fin dalla metà campo usando braccia e gambe per spingerlo verso le linee laterali. Lo hanno letteralmente soffocato, riservando lo stesso trattamento al «gemello» Thompson. Ma è mancato poco che non bastasse.

I campioni in carica di Golden State fanno paura. Sono due spanne - non una - sopra tutti gli altri. E due spanne sotto, troviamo appunto San Antonio. Il rischio è che la vera finale sia tra un paio di mesi non quella che metterà in palio il titolo Nba ma quella per il titolo di conference ad Ovest.

La più forte ad Est è Cleveland. Ha il bilancio migliore (49 vittorie e 20 sconfitte) e il giocatore migliore (LeBron James), però alterna grandi prestazioni ad altre letteralmente inquietanti. Contro Miami ha perso di 21 punti e ad un certo punto era sotto di 30. Ma gli esempi si sprecano.

A proposito. LeBron quest’estate sarà «free agent»: se il campionato di Cleveland finisse male (mettiamola così: se i Cavs non vincessero neppure il titolo di conference), non ci stupiremmo di vederlo traslocare. O come minimo dovremmo prepararci ad una rivoluzione in quella franchigia. Una rivoluzione che potrebbe spazzar via gli altri due «big» Irving e Love, poche volte davvero convincenti in questo campionato.

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