Atkinson: «Contro la disuguaglianza fisco, stato sociale, occupazione»
Era stato a Trento alla prima edizione del festival dell'Economia, 10 anni fa, come ha ricordato. E il professor Anthony Atkinson, economista inglese particolarmente attento ai temi della giustizia sociale, non poteva non ritornare in questa edizione dedicata alla mobilità sociale. "I grandi della terra, da Obama alla Lagarde, si dicono preoccupati per la crescita delle disuguaglianze - ha detto - ma poi non danno indicazioni su chi deve fare e soprattutto sul cosa fare". E invece di cose da fare ce ne sarebbero, Atkinson nel suo ultimo libro ne ha elencate ben 16. Usare la leva fiscale con funzioni redistributive, ad esempio come avvenne nel secondo dopoguerra, e investire di più nello stato sociale. Ma anche combattere la disoccupazione, accrescere i salari più bassi, adottare il reddito di cittadinanza o di partecipazione, agire sull'accumulo di ricchezze e sul legame capitale-assunzione delle decisioni. A farlo, Atkinson non ha alcun dubbio, devono essere in primo luogo i governi.
Nel suo intervento Atkinson è partito dal suo paese. In Inghilterra negli ultimi 40 anni la disuguaglianza è crescita esponenzialmente. Utilizzando il coefficiente di Gini, che misura le differenze di reddito fra la popolazione,da 0 a 100, all'inizio anni 60 l'indice del Regno Unito era del 25 per cento, poi è costantemente salito. Per ritornare al livello degli anni 60 bisognerebbe aumentare le aliquote fiscali del 20 per cento. Una cosa improponibile al decisore politico. In cima all'indice di Gini oggi c'è il Sud Africa. Poi vengono Cina e India. Il Regno Unito è appena sotto agli Usa, come aveva ricordato anche Stiglitz ieri. L' Italia si posiziona poco dietro. Ma perché preoccuparci delle disuguaglianze? Innanzitutto - ha detto Atkinson - per ragioni intrinseche: la disuguaglianza eccessiva è moralmente sbagliata, così come il divario eccessivo ricchezza-povertà, ad esso strettamente legato. Ma per chi è insensibile a questo tipo di ragioni ve ne sono altre, di natura strumentale: le disuguaglianze sono responsabili del peggioramento della performance economica. Riguardo alla mobilità sociale, in particolare la crescita della disuguaglianza riduce le opportunità di ciascun cittadino, e soprattutto dei giovani (fra cui dei giovani talenti).
"Immagino che Renzi adesso stia dicendo che dobbiamo investire sul capitale umano - ha chiosato il professore a questo punto, ricordando che in contemporanea alla sua relazione si stava svolgendo l'incontro pubblico con il presidente del Consiglio italiano - . Ovviamente lo sottoscrivo ma non è l'unica cosa da fare. Innanzitutto, dobbiamo ricordare che innovazione, progresso tecnologico, globalizzazione non sono forze neutre. Qualcuno a monte prende delle decisioni. Se le decisioni vengono lasciate solo alle aziende e agli azionisti di queste aziende la tecnologia non necessariamente andrà a vantaggio dell'intera società". Le decisioni, dunque, vanno prese in primo luogo dai governi, democraticamente legittimati. Ma quali le decisioni più importanti per ridurre la disuguaglianza? "Nel secondo dopoguerra si registrò una forte riduzione della disuguaglianza di reddito, a causa della ricostruzione, che creava posti di lavoro, e dello sviluppo dello stato sociale. Poi dagli anni 80 i paesi Ocse hanno diminuito la loro azione redistributiva. Bisogna tornare ai quei tempi, con una imposizione fiscale progressiva, e con una crescita dell'imposizione fiscale sulla ricchezza che si trasmette fra le generazioni, quindi sulle eredità e le successioni. Inoltre bisogna adottare il reddito di cittadinanza o di partecipazione, che vada soprattutto a chi si lavora e si impegna concretamente nella società in cui vive (come in Trentino ndr.). Tutti devono averne diritto ed esso dovrebbe sostituire gli sgravi fiscali, che oggi sono fonte di disuguaglianza.
Ma non basta solo un sistema di tassazione più equo. Bisogna anche affrontare il problema della disoccupazione e del divario fra i redditi, fissando un salario minimo o aumentandolo dove esso esiste già. Bisogna agire infine sulla ricchezza e sul rapporto fra capitale e assunzione delle decisioni, spesso fortemente sbilanciato. Ad esempio, i fondi pensione investono nelle aziende, ma i percettori di pensione non hanno nessuna influenza sul comportamento delle aziende stesse. Anche riguardo al reddito da capitale: i piccoli risparmiatori in realtà spesso ricevono pochissimo, mentre i grandi investitori sono ben remunerati. La risposta non può essere solo tassazione. Bisogna far crescere anche la finanza pubblica".