Gli arresti a Roma: Carminati fu accusato dell'omicidio di Fausto e Iaio
Ha un riflesso trentino la vicenda giudiziaria che sta provocando un terremoto nella capitale, con i 37 arresti e un centinaio di indagati. Questo riflesso riguarda la figura ritenuta chiave dagli inquirenti: il "quarto re di Roma" come si definiva lui in colloqui intercettati, il "nero" di Romanzo Criminale, il "guercio" per via dell'occhio perso in seguito a una sparatoria con la Digos, l'ex Nar amico e compagno di scuola di Giusva Fioravanti, accusato di avere legami con la Banda della Magliana. E, ancora, accusato ma poi prosciolto dall'imputazione di essere uno dei sicari di Mino Pecorelli; indagato per essere l'ideatore del furto al caveau della Banca di Roma interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio nel 1999 in cui, fra l'altro, venne rubata documentazione per ricattare i magistrati, e coinvolto nel 2012 nell'inchiesta sul calcioscomesse. Da quasi 40 anni le mani di Massimo Carminati sono sulla città di Roma. Ma dalla metà degli anni '70 è riuscito quasi sempre a farla franca nei processi, nonostante molti pentiti lo abbiano accusato di tanti omicidi e anche di avere avuto un ruolo con i servizi segreti nel presunto depistaggio delle indagini per la strage di Bologna.
Ma Carminati fu indiziato, negli anni Novanta, anche per l'omicidio dei due giovani di sinistra Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci, avvenuto per strada a Milano, in via Mancinelli, il 18 marzo 1978, poco dopo che i due ragazzi avevano lasciato il centro sociale Leoncavallo per andare a casa a cenare. Vari gruppi dell'estrema destra inviarono rivendicazioni delll'assassinio, ma secondo gli inquirenti la più credibile era quella dei Nar cui apparteneva anche Carminati. Nel 1999 la sua posizione (insieme a quelle di Claudio Bracci e Mario Corsi) fu archiviata per insufficienza di prove e nel 2000 arrivò il decreto che chiuse l'inchiesta; "Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva - vi si legge - ed in particolari degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi".
Uno dei due giovani uccisi a Milano, Fausto Tinelli, (a destra nella foto, accanto a Iaio) era nato a Trento, il 25 novembre del 1959 e oggi è sepolto nel cimitero cittadino. Sua madre, Danila Angeli Tinelli, era emigrata dal Trentino prima all'estero e poi a Milano. Madre e figlio erano molto legati alla loro terra di origine e non sempre era facile confrontarsi con una metropoli come Milano per chi veniva dalle montagne.
La signora Danila, dopo quella tragica sera del 1978, non ha mai smesso di lottare per la verità e la giustizia. Tre anni fa rilasciò anche alcune dichiarazioni indicando una pista nuova, che a quanto pare non è poi stata verificata dalle autorità[[{"type":"media","view_mode":"media_preview","fid":"143886","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"180","style":"float: right;","width":"180"}}]]
«Dopo l’omicidio di mio figlio», aveva raccontato la madre di Fausto, «ognuno offriva la sua versione. Chi parlò di regolamento di conti tra spacciatori di droga, oppure una faida tra gruppi della sinistra extraparlamentare. Negli anni ho riannodato i fili della memoria, i pezzi di un piccolo mosaico che mi ha permesso di raggiungere la vera verità che io conosco. Mio figlio è stato vittima di un commando di killer giunti da Roma a Milano, nel pieno del rapimento di Aldo Moro, in una città blindata da forze dell’ordine. Un omicidio su commissione di uomini dei servizi segreti. Gli apparati dello Stato avevano affittato un appartamento al terzo piano del mio palazzo, in via Monte Nevoso 9, esattamente davanti all’appartamento in cui risiedevano appartenenti alle Brigate Rosse, responsabili del rapimento Moro, dove vennero rinvenuti i memoriali del presidente della Democrazia cristiana. Prima del rapimento Moro e dell’omicidio di mio figlio, tra la fine del ’77 e l’inizio del ’78, la famiglia che occupava l’appartamento al terzo piano del mio palazzo venne mandata via d’urgenza con uno sfratto esecutivo. La casa era rimasta vuota per qualche settimana. A un certo punto la portinaia dello stabile, mentre puliva al terzo piano, vide alcune persone entrare nell’appartamento, si agitò e me ne parlò. E da allora ho cominciato a sentire rumori sulle scale specie di notte, fino a vedere attraverso lo spioncino persone che andavano al terzo piano con strani congegni, apparecchi fotografici. Nessuno, oltre a me, si è domandato cosa stessero facendo quelle persone. Ho messo in relazione la presenza di quelle persone con alcuni fatti strani avvenuti prima dell’omicidio. Una ragazza venne a cercare mio figlio a casa mia. Quando la descrissi, mio figlio non la riconobbe come un’amica. Eravamo spiati, controllati, almeno due mesi prima».
La mamma di Fausto ha anche sottolineato la incredibile circostanza che nessuno l'ha mai chiamata a riferire ciò che eventualmente poteva sapere: «Nessuno mi ha mai interrogata. Fausto e Iaio sono come un segreto di Stato… un depistaggio. Hanno scelto mio figlio perché abitava in via Monte Nevoso dove era in corso un’operazione coperta dei servizi, qualcosa che non doveva emergere», aveva concluso Danila Tinelli nella sua denuncia riferita anche dai media tre anni fa.
A Fausto e Iaio pochi anni fa il Comune di Milano ha dedicato un giardino pubblico. A Trento l'associazione intitolata ai due giovani ha avanzato una richiesta affinché si faccia lo stesso, ma finora la risposta è sempre stata negativa. La richiesta di ricordare il giovane nella città in cui nacque. «Con l'archiviazione dell'indagine è stato come se mio figlio fosse morto un’altra volta. Conosco i nomi e i cognomi di quelli che l’hanno ammazzato e sapere che sono vivi e vegeti provoca in me una grande sofferenza. Un colpo durissimo, da cui faccio fatica a riprendermi. L’unica speranza è che almeno si conservi la memoria di questi due ragazzi, la memoria di mio figlio, che è sepolto a Trento. Ma anche Trento l’ha dimenticato. Ho chiesto più volte al Comune di ricordarlo attraverso una lapide, una targa, un simbolo, ma non ho mai ottenuto risposta. Sarebbe un bel gesto», ha dichiarato all'Adige la signora Danila, nel maggio scorso, in occasione della presentazione, a Pergine, dello spettasoclo teatrale «Viva l’Italia. Le morti di Fausto e Iaio» del regista argentino César Brie. A margine della toccante rappresentazione teatrale, la madre di Fausto Tinelli aveva rinnovato invano la sua accorata richiesta affinché la sua terra dedichi una via ai due ragazzi assassinati.
Per tornare a Carminati (nella foto), milanese di nascita, va rilevato che ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella storia parallela del malaffare della capitale, ma soprattutto per gli inquirenti è sempre stato un mediatore 'di rispetto' tra mondi solo apparentemente lontani: i Nar e la Banda della Magliana; la mafia e la politica; o come nel calcio-scommesse con 'soci' con stretti collegamenti con esponenti della criminalità calabrese. Ed anche nell'inchiesta 'Mafia Capitale' il suo metodo è rimasto immutato. Nell' ordinanza si legge che Carminati mutua il ruolo che aveva "all'interno del sistema criminale romano degli anni '80, cioè quello di trait-union tra mondi apparentemente inconciliabili, quello del crimine, quello della alta finanza, quello della politica". [[{"type":"media","view_mode":"media_preview","fid":"143881","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"180","style":"float: right;","width":"180"}}]]
Insomma per dirla con le sue parole, "io sono il Re di Roma". Forte della sua esperienza e dei suoi rapporti Carminati ha messo in piedi una vera holding criminale che spaziava dalla corruzione, per aggiudicarsi appalti, all'estorsione, all'usura e al riciclaggio. Un capo che - secondo i magistrati - "avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo" poteva puntare ad una "condizione di assoggettamento e di omertà". Per chi indaga, l'ex terrorista dei Nar sovrintendeva e coordinava tutte le attività dell'associazione, impartiva direttive agli altri e forniva loro schede dedicate per le comunicazioni riservate.
L'attività di Carminati si spingeva anche nell'individuare e "reclutare imprenditori" ai quali forniva protezione, manteneva i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali che operano su Roma "nonché con esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario e con appartenenti alle forze dell'ordine e ai servizi segreti". Ed è proprio Carminati a spiegare la sua filosofia di vita: "È la teoria del mondo di mezzo - dice in una intercettazione...dove tutto si incontra...tutto si mischia...perchè anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno...". E lui nel mondo di mezzo sono quasi 40 anni che naviga tra inchieste, accuse, arresti: sembrava imprendibile e intoccabile. Le inchieste da almeno da più di 30 anni l’avevano indicato come "l’anima nera” del crimine capitolino più spietato e ramificato. Ieri, grazie all’operazione dei Ros, è finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa.