Ascoli, l'addio alle vittime marchigiane Il vescovo: le campane risuoneranno
Il presidente della Repubblica ha raggiunto la palestra comunale di Monticelli ad Ascoli, per partecipare ai funerali delle vittime del terremoto. Il suo ingresso è stato accompagnato da un applauso.
In un’atmosfera di enorme commozione, i familiari si sono seduti accanto alle bare dei loro cari, piangono, e qualcuno ha accusato un lieve mancamento, subito soccorso dai volontari. Numerose le autorità anche regionali e locali presenti.
«E adesso, Signore, che si fa? Quante volte, nel silenzio agitato delle mie notti di veglia e d’attesa, ho diretto a Dio la stessa domanda che mi sono sentito ripetere da voi in questi giorni».
Lo ha detto nell’omelia il vescovo Giovanni D’Ercole. «A nome mio, nel nome di questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra: “e adesso che si fa" mi sono rivolto a Dio Padre, suscitato dall’angoscia, dall’avvilimento di esseri umani derubati dell’ultima loro speranza».
«Le torri campanarie, che hanno dettato i ritmi dei giorni e delle stagioni, sono crollate, non suonano più. Polvere, tutto ormai è polvere.
Eppure, sotto macerie, c’è qualcosa che ci dice che le nostre campane torneranno a suonare, ritroveranno il suono del mattino di Pasqua.
Un terremoto è la fine: un boia notturno venuto a strapparci di dosso la vita. La nostra terra, però, è popolata di gente che non si scoraggia», ha aggiunto il prelato.
Siamo in un tempo di guerre e anche il terremoto è una guerra, un boia che arriva nel buio: è saggio dialogare con la natura e non provocarla indebitamente.
«Le nostre origini sono contadine. In natura arare è come un terremoto per la terra: si spacca, è ferita, ne esce frantumata in zolle. L’aratro ferisce ma è lo strumento-primo per la nuova seminagione: si ara per preparare la terra a un nuovo raccolto. I sismologi tentano di prevedere il terremoto, ma solo la fede ci aiuta come superarlo.
«La fede - ha aggiunto - la nostra difficile fede, ci indica come riprendere il cammino: con i piedi per terra e lo sguardo al cielo.
La solidarietà e la responsabilità ci fanno tenere i piedi ben saldi per terra in un abbraccio che ci consente di affrontare insieme le difficoltà e costruire un mondo migliore. Gli occhi però devono guardare in alto “Guardare al cielo, pregare, e poi avanti con coraggio e lavorare” come diceva don Orione.
La solidarietà oggi - ha aggiunto è rappresentata in maniera solenne dalla presenza del Presidente della Repubblica, al quale rivolgo il mio deferente saluto, dalle più alte cariche dello Stato e dalle tante autorità, dalle molte associazioni di volontariato, e dai tanti amici qui convenuti a mostrare la concreta vicinanza di tanta gente da ogni parte d’Italia e del mondo, la solidarietà soprattutto del Papa, dei vescovi della nostra regione e delle Chiese di tutta Italia come pure del mondo. Grazie a tutti di cuore.
Non abbiate paura di gridare la vostra sofferenza, ma non perdete coraggio. Insieme ricostruiremo le nostre case e chiese; insieme soprattutto ridaremo vita alle nostre comunità, a partire proprio dalle nostre tradizioni e dalle macerie della morte. Insieme!», ha proseguito il vescovo di Ascoli Piceno.