Anche il trentino Luiz Sandro Pallaoro, originario di Susà a bordo dell'areo precipitato in Colombia
«Le ragioni del miracolo della Chapecoense che è passata dalla Serie D alla finale della Coppa Sudamericana?Programmazione, impegno, responsabilità e trasparenza». Così si esprimeva, in una recente intervista «il trentino» Luiz Sandro Pallaoro, erede di una famiglia partita da Susà di Pergine e presidente della Chapecoense, la squadra a bordo dell’aereo precipitato in Colombia: ci sono 75 vittime.
Quelle quattro qualità lo hanno aiutato a realizzare un miracolo. Nel 2008 quando iniziò a collaborare con la squadra, questa militava nella Serie D. Di quel club fu eletto presidente e con una gestione oculata ma coraggiosa, lo portò nel giro di pochi anni in C, in B, in A e, adesso, prima che la morte se lo portasse via, lo stava guidando a vincere la seconda coppa del Sudamerica, per importanza.
E quel miracolo ha qualcosa di trentino dentro di sé: perché (sono parole di Rosimeri Pallaoro, cugina di Sandro) «lui continuava quella tradizione che è dei nostri nonni, fatta di fedeltà alla famiglia, di grande capacità di lavoro e anche di fede. Sì, Sandro era un grande imprenditore ma era anche molto religioso».
[[{"type":"media","view_mode":"media_preview","fid":"1519211","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"180","style":"float: right;","width":"180"}}]]Cinquant’anni compiuti il 13 ottobre, non era nato a Chapecó, ma a Pato Branco, nel Paranà. Nella stessa città di un altro Sandro, grandissimo calciatore che in Italia visse una strana traiettoria, quell’Alexandre Pato che Barbara Berlusconi volle come compagno di vita e giocatore del Milan (ambedue le cose durarono poco). Lì anche Pallaoro aveva iniziato ad amare «o futebol».
Giunse a giocare con una squadra della sua città, l’Inter, ma poi passò per otto anni al «futesal» (dimunitivo di «futebol de salão», cioè calcio a 5). Sangue trentino, a 14 anni però aveva iniziato anche a lavorare nella piccola azienda di proprietà del padre e dello zio. Come office boy. Poi lavorò in un’azienda di parenti e infine nel 1994 fu chiamato a Chapecò da un cugino, stavolta partecipando al capitale di una piccola ditta, la Cantu Alimentos. Infine, nel 2009 Sandro fondò la Pallaoro Distribuidora de Frutas Ltda, ora amministrata dalla moglie Vanusa e dalla figlia Dhayane.
Ma il suo sogno, e il suo intero destino, sarebbero stati legati al gioco del calcio. «Nel 2008 - disse in un’intervista - già avevo assunto la presidenza dell’Associazione Chapecoense de Futebol... Il mio successo come imprenditore? Credo che sia dovuto alla mia dedizione a tutto ciò che faccio, agli esempi che ho seguito. Ho sempre cercato di costituire un orgoglio per i miei genitori e sono sempre stato caparbio nel cercare di realizzare i miei sogni. E nella Chapecoense ho trovato persone che hanno creduto nel mio sogno, che era quello di trasformare la squadra in un grande club del calcio brasiliano».
Una scommessa che al tempo molti pensavano «assurda» in una cittadina di 200.000 abitanti, decentrata sull’altipiano catarinense.
Sandro Pallaoro per il suo sogno lasciò perdere i grandi guadagni del suo ramo di attività, il commercio: «Quando divenni presidente della Chapecoense ci pagavamo le trasferte con i soldi personali e i giocatori non potevano rovinare la maglietta, ne avevano una sola. La squadra nel 2009 aveva un bilancio di 1,5 milioni di reais. Oggi è di 40 milioni. E adesso il sogno è di portare la squadra a vincere la Copa Libertarores (ndr, la Champions League del Sudamerica)».
«O presidente» come Pallaoro è chiamato in S. Catarina, aveva le idee chiare. Chiarissime.
Tanto da essere stato premiato come «Imprenditore catarinense dell’anno 2015. Tra i suoi sogni c’era anche quello di vedere il figlio Matheus, che milita nelle giovanili della Chape, giocare in Serie A e magari nella Seleção Brasileira. «Abbiamo sempre investito sui giovani, ne abbiamo 140 e abbiamo già vinto il Campionato nazionale Under 17. Tutto sulla base di tanto lavoro e con tanta etica e trasparenza».
Ora il destino ha azzerato i sogni del «trentino» Sandro Pallaoro. Ma non è detto che Matheus non sappia farlo felice ancora una volta, lassù dove si trova adesso, diventando un campione della Seleção.
LE ORIGINI DELLA SUA FAMIGLIA AFFIORANO ANCHE A LEVICO TERME
Le origini dello sfortunato presidente della Chapecoense Sandro Pallaoro vanno cercate a Susà di Pergine. Ma è possibile che le radici affondino anche un poco più in là, in quel di Levico Terme. Uno storico per passione, il medico di Pergine Lino Beber, qualche anno fa, appassionato di genealogie e di ricerca storica, era stato in Brasile, visitando varie famiglie originarie del Perginese. Era passato anche a Chapecò dove aveva incontrato Nelson Carlos Locatelli che gli aveva chiesto informazioni circa il nonno materno, Ferdinando Pallaoro, nato a Susà nel 1859 ed emigrato in Brasile col fratello Giovanni nel 1883.
Beber annotava che i due fratelli erano stati in un secondo tempo raggiunti dai genitori, Filippo e Rosa, e dalle sorelle Irene e Costanza. Le informazioni coincidono in parte con quelle fornite a noi dalla cugina di Sandro, signora Rosimeri Pallaoro. «Mio padre - ci ha detto - è il fratello di Osmar, padre di Sandro. E i due sono figli di Henrique, che a sua volta era figlio di Ferdinando Pallaoro». Ma non si erano diretti, quei trentini, verso Santa Catarina, dove vivevano ormai migliaia di «tirolesi italiani»: a Nova Trento, Rodeio, Rio dos Cedros, comunità che ancora oggi portano nella loro cultura i contorni precisi della trentinità.
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«I due Pallaoro erano entrati in una linea coloniale di Rio Grande do Sul, lo Stato più a sud del Brasile. Da cui nacque poi la località di Nova Brescia». In quegli anni i flussi di emigrazione trentina più cospicui erano diretti verso tre stati brasiliani: Santa Catarina, Espirito Santo e, appunto, Rio Grande do Sul dove i contadini ricevevano in proprietà (pagamento in 5 rate) un appezzamento di terra di circa 20 ettari. Fu Henrique Pallaoro, figlio di Ferdinando, a saltare i confini tra Rio Grande do Sul e Santa Catarina, stabilendosi nell’ovest di questo Stato, dalle parti di Chapecò. Quindi, fu Osmar Pallaoro col fratello, una cinquantina di anni fa, a saltare i confini tra Santa Catarina e Paranà, stabilendosi a Pato Branco città in cui nel 1986 nacque Sandro Pallaoro. Un tragitto di continue emigrazioni che hanno portato le ultime generazioni di trentini emigrati in Rio Grande do Sul, a trovarsi ora a colonizzare il centro e il nord del Brasile: Mato Grosso, Tocantins, Bahia, Maranhão e Rondonia. Tanto che gli abitanti dell’Ovest Catarinense vengono definiti «gauchos cansados», cioè gauchos di Rio Grande stanchi di emigrare e, per questo, fermatisi in S. Catarina.
Ma ascoltiamo Rosimeri: «Coi Pallaoro c’erano Vettorazzi, Libardi Andreatta, Avancini, Bertoldi». Cognomi molto diffusi a Levico e dintorni. La qual cosa potrebbe suggerire che quei Pallaoro di Susà fossero a loro volta originari di Levico. Non hanno niente a che vedere i trentino-brasiliani di Chapecò con quelli di Nova Trento, famosi nel mondo per aver ospitato una delle emigrate trentine più illustri, Amabile Visintainer di Vigolo Vattaro, trasferitasi giovinetta in Brasile dove qualche anno fa venne fatta santa dal papa, fondatrice di una congregazione di suore (oggi a Vigolo tengono aperta una casa, in memoria di Amabile).
Nova Trento, così come Rodeio e Rio dos Cedros, stanno molti chilometri più ad est di Chapecò e quindi molti più chilometri più a sud-est di Pato Branco dove è nato Sandro Pallaoro.
Una cosa però è certa: i pronipoti dei 30.000 trentini emigrati in Brasile costituiscono oggi una parte importante di quella comunità, ruolo che si sono guadagnati con quelle caratteristiche culturali che si erano portati «da casa»: grande capacità di lavoro, attaccamento alla struttura famigliare e forte spirito religioso.