Cason (Bard): così Belluno costruisce la sua autonomia
Da decenni la vicina Provincia di Belluno è attraversata da fermenti autonomistici, finora mortificati dalla Regione Veneto e dallo Stato. Localmente si coltiva il sogno di un assetto adeguato alle esigenze della montagna, ma dal potere centrale arrivano atti di segno opposto, come la minacciata cancellazione dello stesso ente provinciale ordinario. Da oltre due anni, con il governo Monti prima e quelli Letta e Renzi poi, sono sospese le elezioni e gli organi politici restano commissariati, malgrado nel frattempo la Consulta avesse decretato l'incostituzionalità di quei provvedimenti
Da decenni la vicina Provincia di Belluno è attraversata da fermenti autonomistici, finora mortificati dalla Regione Veneto e dallo Stato. Localmente si coltiva il sogno di un assetto adeguato alle esigenze della montagna, ma dal potere centrale arrivano atti di segno opposto, come la minacciata cancellazione dello stesso ente provinciale ordinario. Da oltre due anni, con il governo Monti prima e quelli Letta e Renzi poi, sono sospese le elezioni e gli organi politici restano commissariati, malgrado nel frattempo la Consulta avesse decretato l'incostituzionalità di quei provvedimenti.
Nel frattempo il ministro Graziano Delrio ha promosso un disegno di legge che valorizza solo gli enti di area vasta corrispondenti con i principali capoluoghi regionali (le città metropolitane) e ignora la questione del governo delle zone montane. Per Belluno, finora, il risultato è un continuo rincorrere e difendersi da interlocutori istituzionali insensibili alle problematiche sollevate. E pensare che solo pochi mesi fa l'allora premier Enrico Letta, a Longarone per commemorare le vittime del Vajont, aveva saputo cogliere il clima affermando «che a Belluno serve una forma di autonomia forte, anche per riequilibrare il rapporto con le confinanti Province a Statuto speciale». Dopo di che a Roma si è fatto il contrario prevedendo un pesante depotenziamento dell'ente, a dispetto di ciò che chiede il territorio.
«Adesso vediamo che cosa succederà in Parlamento. Sono giorni caldi per la politica, ma ci auguriamo che ci sia una correzione di rotta nei riguardi delle esigenze delle popolazioni alpine: quella legge pasticciata deve almeno prevedere una deroga per le uniche due province interamente montane, Belluno e Sondrio, che hanno assoluto bisogno di un ente votato dai cittadini. E se il legislatore non comprenderà questa emergenza, la nostra giusta battaglia continuerà», osserva Diego Cason (foto), sociologo e storico, esponente del movimento autonomistico Bard.
Ma la prospettiva è un sostanziale anno zero per l'istituzione?
«Questo pericolo esiste certamente e bisogna sventarlo. Sulle Alpi convivono fianco a fianco comunità variegate, che hanno bisogno di un ente unificante per dare voce agli interessi comuni delle vallate, altrimenti sorgerebbero gravi difficoltà in termini di rappresentanza e dunque di peso politico generale. Le Dolomiti bellunesi, circa 200 mila abitanti sui cinque milioni della regione, sono appena il 6% dell'elettorato veneto (il 4% considerando chi risiede all'estero o comunque non vota). Ciò si traduce in un grave gap di rappresentanza istituzionale che a sua volta genera politiche orientate da una visione totalmente urbana. I poteri centrali considerano la montagna del tutto marginale e al servizio della pianura anche in termini di risorse naturali, come l'acqua (idroelettrico e irrigazioni agricole). Ai territori restano solo le briciole e i danni ambientali di questi business: dal capitolo energetico, per esempio, ci arrivano appena nove milioni di euro l'anno di sovracanoni su un totale produttivo bellunese che supera i trecento milioni. È uno scenario infido per i nostri 69 comuni, in gran parte sotto i mille abitanti e sparsi in un territorio di oltre 3.600 kmq al quale fu imposto un modello produttivo non coerente con le sue specificità».
In che senso?
«È una caratteristica della modernità innestare attività produttive slegate dalle vocazioni della realtà territoriale. Uno dei casi in controtendenza è il Sudtirolo (ma anche regioni austriache e cantoni svizzeri), dove si sono rispettati i profili sociali, orografici e economicamente strategici delle vallate alpine. Nel Bellunese è sempre mancata la forza istituzionale per declinare una riflessione sul sistema provinciale. Inoltre, dopo la sciagura del Vajont, che fece 2 mila vittime nel '63, fu introdotto un elemento surrettizio di sviluppo: come indennizzo lo Stato ha finanziato un'intensa infrastrutturazione industriale che ha prodotto effetti positivi ma anche deviazioni da un corretto equilibrio fra l'attività manifatturiera (che occupa il 50% dei cittadini attivi contro un indice nazionale del 28%), il terziario e la cura delle risorse territoriali. Va da sé che con la crisi economica una terra così dipendente dall'industria soffre parecchio: la media provinciale dei disoccupati è al 13%, nei comuni in quota si arriva al 20%-25%. Lo storico distretto dell'occhiale, in Cadore, per esempio, nel giro di cinque è quasi scomparso. E ora questa, come altre zone, incontra serie difficoltà a migliorare la sua performance nel turismo, agricoltura e nei servizi, anche a causa di un deficit di competenze e di supporto istituzionale. È un effetto collaterale di trent'anni di benessere legato per lo più all'industria. Ora bisogna ripartire guardando a un'altra prospettiva».
Forze sociali come il movimento autonomistico di cui lei fa parte reputano centrale un nuovo assetto istituzionale, per poter ricostruire un sistema prospero.
«Oggi la montagna bellunese, pur con tutte le sue debolezze, è ancora abitata: il vecchio modello, ora in crisi, ha consentito a una comunità alpina di 200 mila persone di vivere in un territorio magnifico sul piano paesaggistico, ma aspro e complicato per le attività economiche. Altre comunità alpine, per esempio in Piemonte, che non hanno avuto le nostre opportunità e capacità, sono quasi completamente svuotate. Anche la vicina Carnia, pur in una Regione a Statuto speciale come il Friuli, sta peggio del Bellunese: ciò dimostra che per lo sviluppo in montagna non bastano i soldi ma servono comunità solide, in rapporto fra loro e con il territorio. Oggi anche i nostri paesi e vallate soffrono, avanza lo spopolamento e cala soprattutto la presenza dei giovani».
Un quadro in cui cresce la consapevolezza sull'esigenza di una rinascita istituzionale.
«Certo, noi abbiamo elaborato una bozza di Statuto che ora proporremo all'intera società bellunese, per avviare un dibattito aperto. Pensiamo a una futura Provincia autonoma che si faccia carico di una serie di funzioni oggi polverizzate irrazionalmente in una miriade di enti regionali o statali. Immaginiamo un ente che dia rappresentanza agli interessi dei territori e svolga un ruolo di coordinamento e di coesione comunitaria. Per quanto riguarda l'esercizio del potere amministrativo, suggeriamo di lasciare alla nuova Provincia gli aspetti di area vasta e di valorizzare i Comuni, in un contesto unitario che rimetta in moto e rafforzi tutte le energie presenti nelle nostre valli. Una simile riforma consentirà al Bellunese di dotarsi degli strumenti necessari a ricostituire il suo tessuto socioeconomico; l'alternativa è il progressivo declino anche di questo angolo delle Alpi. Chi governa l'Italia dovrebbe cominciare a prendere sul serio queste tematiche e il loro riverbero sistemico. Non dimentichiamo che il 70% del nostro Paese è montagna».