La mamma di Giulio Regeni in Senato
I genitori del ragazzo ucciso in Egitto chiedono la verità e più decisione del governo italiano
Non una lacrima, ma tanto dolore. Un «dolore necessario», da affrontare «tutti insieme». Paola Regeni ha lo sguardo fiero, una sciarpa gialla dello stesso colore dello striscione con cui chiede verità e giustizia, la forza di una madre che combatterà fino all'ultimo per avere quell'unica risposta che conta: perchè Giulio è stato ridotto in quel modo.
Accanto al marito Claudio, nella sala del Senato dedicata ai morti di Nassiriya, Paola affronta decine di giornalisti con la consapevolezza di chi sa che la morte del ricercatore è un fatto enorme che non ha cambiato soltanto la vita della sua famiglia.
Ed infatti: «La morte di Giulio non è un caso isolato. Non è morbillo, non è varicella. La parte amica dell'Egitto ci ha detto che l'hanno torturato e ucciso come un egiziano. Forse non saranno piaciute le sue idee. E forse - scandisce Paola - era dai tempi del nazifascismo che un italiano non moriva dopo esser stato sottoposto alle torture. Ma Giulio non era in guerra, non era in montagna come i partigiani, che hanno tutto il mio rispetto. Era lì per fare ricerca. Eppure lo hanno torturato».
Per un attimo, prima di affrontare i media, i genitori di Giulio hanno pensato ad un gesto estremo per smuovere le acque, diffondere la foto di Giulio all'obitorio della Sapienza. Come fece già Patrizia Aldrovandi, come continua a fare Ilaria Cucchi. Poi alla fine ci hanno ripensato, anche se non è escluso che più avanti possano cambiare idea, soprattutto se dall'Egitto continueranno ad arrivare depistaggi. «Crediamo che le parole della madre siano più forti» ha detto il loro avvocato, Alessandra Ballerini.
E allora eccole, quelle parole. «L'ultima foto che abbiamo di Giulio è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno - dice Paola - , quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c'è un piatto di pesce e intorno gli amici, perchè Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. È un'immagine felice».
Poi ce un'altra immagine. Quella che «con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice», quella all'obitorio. «L'Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c'è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perchè tutto il male del mondo si è riversato su di lui».
Nessuno parla, Paola prosegue nel silenzio. «All'obitorio, l'unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso».
La madre di Giulio non piange. Non ci riesce. «Io che piango sentendo le canzoni romantiche, i funerali e pure per i disegni dei bambini, finora ho pianto pochissimo. Per Giulio non riesco a piangere, ho un blocco totale e forse riuscirò a sbloccarmi solo quando riuscirò a capire cosa è successo a Giulio». Le chiedono quale sia la cosa che le fa più male. «Pensare a quando lui avrà cercato in tutti i modi di far capire chi era, parlando in arabo, in inglese, in italiano, in spagnolo, in tedesco, magari anche nel dialetto del Cairo, e niente e successo. Poi mi capita di vedere i suoi occhi, quei suoi occhi felici, che dicono "ma cosa sta succedendo, non può accadere a me". E ancora, lo immagino quando, alla fine, capisce che quella porta non si aprirà più, perchè lui aveva tutte le chiavi cognitive, linguistiche, e storiche per capire cosa stava accadendo». In questi due mesi, dice ancora Paola, ci sono stati «momenti di rabbia», ma soprattutto «di gran dispiacere»: per non avere più Giulio. Che è una cosa che «ha cambiato la vita a noi, ma anche a sua sorella. Una cosa così - conclude cercando gli sguardi di tutta la sala - cambia la vita a tutti, sapete?».