Yemen, orrore nelle moschee: i terroristi uccidono 137 fedeli
È di 137 morti e almeno 350 feriti (alcuni molto gravi) il tragico bilancio degli attentati contro le moschee sciite in Yemen. Quattro devastanti esplosioni in sequenza in due moschee di Sana'a hanno insanguinato la preghiera del venerdì e lasciato sul terreno il più alto tributo di vittime civili nella storia del martoriato Paese.
Subito su Internet è apparsa una rivendicazione dello Stato islamico sulla stessa piattaforma mediatica dove giovedì l'Isis si era assunto la responsabilità per gli attacchi a Tunisi. Ma su questa rivendicazione ci sono molto dubbi e anche la Casa Bianca non conferma. Sono in corso verifiche - si fa sapere da Washington - «se effettivamente l'Isis abbia una struttura di comando e di controllo in grado di coordinare tali attacchi». E si ricorda che «spesso l'Isis rivendica la responsabilità di attacchi per scopi puramente propagandistici».
L'ala yemenita di al Qaida, rivale dell'Isis e molto forte nel Paese, ha negato ogni coinvolgimento nell'attacco che ha colpito le due moschee controllate dai miliziani sciiti Huthi. Sostenuti dall'Iran, hanno preso il potere nella capitale e in ampie zone di un Paese devastato da conflitti religiosi, tribali e secessionisti.
Le esplosioni sono avvenute nel mezzo della preghiera del venerdì nelle moschee Badr e Hashush che si trovano in due diversi quartieri della capitale. Nella moschea Badr un primo attentatore è stato individuato dalla polizia e si è fatto esplodere. Poco dopo è entrato in azione un secondo, che ha ucciso decine di fedeli, tra cui anche sunniti. Una dinamica analoga si è svolta nella moschea Hashush, dove c'è stato un altro bagno di sangue, secondo quanto riferiscono fonti mediche. Un quinto attentatore che si apprestava a farsi saltare in aria in una terza moschea a Sa'dah, roccaforte degli Huthi a nord della capitale, è stato bloccato prima che potesse azionare la cintura esplosiva.
Tappeti della preghiera intrisi di sangue, corpi abbandonati sul pavimento e coperti da teli colorati, feriti portati fuori dalle moschee con mezzi di fortuna: le foto della strage non lasciano dubbi sulla violenza delle esplosioni. Dagli ospedali è giunta la richiesta urgente di donare sangue per le centinaia di feriti ammassati nelle corsie.
Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato «gli atti brutali», affermando che l'impegno delle Nazioni Unite «è di lottare contro questa barbarie».
Ma lo Yemen è da anni lacerato da una lotta interna per il potere in cui si inseriscono anche diversi attori esterni. La guerra armata tra governo centrale, sostenuto dagli Stati Uniti e dall'Arabia Saudita, e gli Huthi nel nord va avanti dal 2004.
In questi stessi anni l'ala qaedista locale è riuscita a stabilire roccaforti nel centro e nell'est, mentre il sud è tradizionalmente un feudo dei separatisti, arroccati nel porto di Aden. Il presidente Abed Rabbo Mansur, deposto nei mesi scorsi dagli Huthi, è fuggito proprio ad Aden dove ha trasferito il governo e giovedì sia l'aeroporto che il suo palazzo sono stati bombardati da Huthi e da forze fedeli all'ex presidente Saleh.