Nuovo bivacco sulla Pala di San Martino

di Manuela Crepaz

A mettere in movimento le guide alpine di San Martino fu questione di un attimo. Lassù, sulla Pala di San Martino, se non si provvedeva alla svelta, qualcuno ci rimetteva le cuoia. Erano in due, marito e moglie, incrodati in un imbuto della parete, riparati alla meglio da un telo di nylon sbrindellato, impossibilitati ad andare avanti o indietro per il vetrato e la neve. Erano lì da 48 ore e anche più, a battere i denti, a spolmonarsi nella vaga speranza che qualcuno captasse l’angosciata invocazione.
Quinto Scalet, Camillo Depaoli, Lallo Gadenz e Don Martino Delugan erano pronti. «Quinto Scalet (?) partì di slancio, raggiunse i due tedeschi, più morti che vivi, di forza li calò fra le braccia accoglienti degli altri».

È il colorito resoconto riportato nell’ormai introvabile libro Oltre il sentiero, dedicato alle «Aquile» di San Martino di Castrozza e Primiero, scritto dal giornalista dell’Adige Gino Callin, da poco scomparso, con i colleghi Elio Conighi e Antonio Vischi. Era l’autunno del 1964 e la coppia di tedeschi aveva percorso la via del Gran Pilastro: nella memoria è rimasto come uno dei soccorsi più complessi, tanto che valse alle due guide Quinto Scalet e Camillo Depaoli il premio dell’Ordine del Cardo, sodalizio internazionale di spiritualità alpina che riconosce i gesti più significativi di umana solidarietà in montagna. Fu allora che si decise che serviva un bivacco lassù, sulla Pala, una struttura «salvavita» per gli alpinisti che, arrivati in cima nel tardo pomeriggio ? e sono in tanti -, non hanno né il tempo né la forza di ridiscendere lungo l’impegnativo rientro verso il rifugio Rosetta, che, per i meno allenati ed inesperti, può durare anche sei ore.

Promotori furono le due coraggiose guide alpine, con il beneplacito dell’allora capogruppo Giulio Faoro; quattro anni dopo, la mattina del 25 giugno 1968, il bivacco venne elitrasportato a quota 2982 metri. Le guide Camillo Depaoli e Saverio Scalet erano sulla cima per sganciare i tre moduli dall’elicottero - un bolide da guerra tipo chinook pilotato da Paolo Antondu del 4° Corpo d’Armata alpino di Bolzano - mentre Giulio Faoro, Quinto Scalet ed Edoardo Zagonel lo avevano poi fissato al suolo con l’aiuto di Don Martino Delugan e Gianfranco Dell’Antonia. Un trasbordo insolito e forse il primo del genere sulle Alpi.

Lo scorso autunno, la svolta: il manufatto del '68 era ormai vetusto, così le guide alpine Mariano Lott e Narciso Simion hanno coinvolto il capogruppo Rocco Romagna e le «Aquile» di San Martino e Primiero e hanno provveduto alla sostituzione, con un nuovo bivacco all’avanguardia: «La sostituzione prosegue la missione delle vèce Aquile di salvare la vita agli alpinisti», spiega Mariano Lott. «Brontoloni, "reversi come le calze", ma bravi ad aver avuto l’intuizione di costruirlo lì».

Portato sulla Pala di San Martino tutto d’un pezzo con un elicottero Kamov della svizzera Elisuisse il 1° ottobre scorso, sarà inaugurato con la bella stagione, perché, nonostante la pratica alpinistica si sia evoluta consentendo di velocizzare l’arrivo in vetta,«la cuccia d’alta quota» rimane fondamentale per chi vi arriva al calar del sole.

Sulla Pala, al lavoro, c’erano le guide alpine Rocco Romagna, Mariano Lott e Giampaolo Zortea, con un paio di operai che hanno agganciato all’elicottero la vetusta struttura. Il mezzo, in dieci giri, ha portato a quasi tremila metri di quota il cemento necessario per il basamento, dove ha trovato posto il nuovo bivacco a prova di acqua e vento: un cubo rettangolare in lamiera rossa, confortevolmente foderata di legno all’interno, con due letti a castello, un tavolo, due panche, delle mensole, dei ganci per appendere le corde. Progettato dal geometra Ivano Tomas e costruito dall’impresa edile Bruno Zortea del Vanoi, con la direzione dei lavori affidata al geometra Francesco Cemin di Siror, ha visto la partecipazione economica della Provincia che ha coperto il 95% delle spese.

Ma la storia non finisce qui: il precedente bivacco rosso malconcio è stato elitrasportato a valle il 22 settembre e parcheggiato ai piedi del Cimon della Pala davanti alla ex Malga Fosse giusto il tempo per essere smantellato. Almeno nelle intenzioni, perché a Carla Scalet, albergatrice di San Martino di Castrozza, è venuta un’idea, concretizzatasi con l’aiuto di varie persone: l’acciaccato bivacco «Guide Alpine» è stato restaurato dopo aver smantellato tutto il rivestimento interno ed è diventato un pezzo da museo a cielo aperto nel giardino di casa sua vicino al Prà delle Nasse, visitabile da tutti.

E ne ha di storie da raccontare, non solo dei tanti alpinisti che vi hanno trascorso la notte lasciandovi testimonianza nel libro di vetta a disposizione dei visitatori. È infatti discendente di una numerosa famiglia di oltre cento bivacchi issati sulle cime più famose, dal Cervino fino alle Pale e poi giù al Gran Sasso, costruiti in modo similare: legno rivestito di lamiera dipinta di un bel rosso brillante, con 6-8 brande. Il prototipo era stato ideato dall’artigiano padovano Redento Barcellan, diventando lo standard dal 1956 per oltre trent’anni, tanto che la tipica struttura col tetto semicilindrico è ormai conosciuta come «Barcellan» oppure «tipo Berti», dall’omonima fondazione che tra le finalità aveva la costruzione di bivacchi fissi, dedicata al dolomitista veneto Antonio Berti. Un gioiellino, insomma, testimone del valore delle guide alpine locali: poter entrare in un vero bivacco respirando l’avventura alpinistica senza arrivare a tremila metri di quota, è una simpatica chicca turistica.