Belluno di nuovo in piazza contro i tagli governativi sulla Provincia
Grande preoccupazione nella vicina Provincia di Belluno per gli effetti di quanto previsto nella legge di stabilità, in conseguenza alla riforma di questi enti appena entrata in vigore sulla base della cosiddetta legge Delrio. In sostanza, per la Provincia dolomitica, che sta cercando di realizzare un proprio percorso di autonomia, si tratterebbe di perdere circa la metà dei già pochi dipendenti su cui può contare per garantire una lunga serie di servizi fondamentali per la cittadinanza (dalla manutenzione degli edifici scolastici alla gestione di molte strade).
Stando alle indicazioni governative, infatti, 126 lavoratori dovrebbero essere ceduti ad altri enti locali, cioè alla Regione o ai Comuni, in un quadro di totale confusione sia dal punto di vista funzionale (come farebbero a garantire il servizio se dislocati altrove) sia da quello contrattuale.
Nel Bellunese in questi giorni è già scattata la mobilitazione per dire no a quello che in molti considerano l’ennesimo colpo basso ai danni degli enti territoriali più deboli e in questo caso anche sulle spalle di un territorio di montagna molto fragile: piove sul bagnato, dopo tre anni di commissariamento della Provincia ordinaria e il tentativo di farla rinascere sia pure su presupposti resi particolarmente aleatori dalle nuove norme nazionali.
Si manifestano i primi effetti concreti di quella riforma per lo svuotamento delle Province che secondo parecchi osservatori politici e studiosi della pubblica amministrazione è prevalentemente uno strumento per catalizzare facile consenso elettorale, magari parlando a ripetizione di «cancellazione» di questo livello dell’articolazione repubblicana peraltro previsto dalla Costituzione.
Ora le speranze di Belluno (e anche di Sondrio) sono legate all’annunciata possibilità che, intanto, le province interamente montane vengano equiparate, nella riformulazione del testo di legge, alle città metropolitane, con una conseguenze riduzione della quota di personale curiosamente definito in «esubero» e dunque da trasferire ad altri enti (dove evidentemente non sarebbe in esubero ma rappresenterebbe un costo aggiuntivo).
In queste ore a occuparsi della delicata faccenda è, fra gli altri, il sottosegretario alle autonomie locali Gianclaudio Bressa, da anni eletto in Alto Adige per il Pd ma bellunese e già sindaco del capoluogo dolomitico veneto.
In questo quadro sono in atto una serie di tentativi di aggiustamento finanziario trasferendo a carico dello stato alcuni costi (come i centri per l’impiego) per consentire alle Province di rifiatare e di avere a disposizione le risorse necessarie per non dover ridurre o sospendere i servizi ai cittadini.
Di fronte a questo ennesimo scenario di pesante incertezza, che peraltro si perpetua sin da quando il governo Monti cominciò il balletto del ridisegno delle Province, il personale di palazzo Piloni, la sede dell’ente bellunese, ha proclamato lo stato di agitazione con tanto di presidio permanente 24 ore su 24, in piazza, per lanciare un nuovo grido d’allarme rivolto a una politica evidentemente insensibile e per informare i cittadini su quanto sta accadendo e sulle ricadute dirette che queste decisioni romane avranno sulla vita quotidiana della comunità locale.
Di «vero e proprio delirio istituzionale» parlano Cgil, Cisl e Uil che accusano il governo di calare sul territorio decisioni non condivise che mettono in serio pericolo l’occupazione e i servizi.
In questo scenario è una magra consolazione che sullo sfondo rimanga il processo - peraltro lento e denso di incognite - tramite il quale la Regione Veneto si è impegnata a trasferire una vasta serie di competenze importanti in capo proprio alla Provincia di Belluno riconoscendole finalmente una forma di autonomia che le comunità montanare reclamano da decenni. Infatti, c’è da chiedersi, di questo passo, a quale ente provinciale sarebbero consegnate da Venezia le chiavi dell’autogoverno: forse a una scatola ormai semivuota e non più elettiva, visto che gli organi sono indicati dai consigli comunali (che, per la cronaca, due mesi fa hanno scelto come presidente il sindaco di Auronzo di Cadore, Daniela Larese Filon).
Durissimo il commento del movimento Bard (Belluno autonoma Regione Dolomiti): «Non c’è alcuna volontà da parte del governo Renzi di applicare la legge Delrio anche laddove, a parole, riconosce la specialità montana di Belluno, Sondrio e Verbania. Una colossale presa in giro per un territorio che ha chiesto in ogni modo ed ad ogni livello di avere gli strumenti di governo necessari per governare le Dolomiti e poter competere alla pari con Trento e Bolzano».
Il movimento autonomista, che polemizza con il Pd locale perché ha appoggiato l’odiata riforma Delrio, invita dunque a «una reazione forte di tutti i soggetti del territorio per chiedere il trasferimento immediato delle competenze previste dallo Statuto del Veneto, compreso il demanio idrico; il mantenimento del personale provinciale e la sua riorganizzazione per la gestione delle nuove risorse e competenze; l’ingresso immediato nell’Euregio, accanto a Trento e Bolzano; uno Statuto provinciale basato su autonomia ed elezione diretta del presidente e del consiglio».