Belluno, guerra sulla Camera di commercio: Treviso o Trento?
Il governo Renzi chiede che anche le Camere di commercio vengano «razionalizzate»: non si tratta ancora di un obbligo effettivo ma a Belluno i vertici dell'ente lo hanno preso molto sul serio. E hanno avviato un processo per la fusione con Treviso, scatenando le ire di sindaci, associati e movimenti politici come Belluno autonoma Regione Dolomiti che si battono, invece, per una fusione con la più affine Trento.
Viene contestata alla radice l'idea che la soluzione migliore per questa terra di montagna sia quella percorsa dal presidente camerale Luigi Curto, che nei giorni scorsi ha annunciato come sostanzialmente già fatta la fusione con Treviso, capoluogo che dista un'ottantina di chilometri da Belluno e anche il doppio dagli angoli più remoti della provincia dolomitica. Una distanza che si fa ancora più forte nella comparazione fra i due sistemi produttivi: da un lato, una potenza industriale che cerca di ripartire, dall'altro un fazzoletto alpino che con la crisi è chiamato a una rapida transizione che riequilibri le difficoltà del manifatturiero con una maggiore presenza di turismo, agricoltura montana, microimpresa e servizi.
Di fronte a questo panorama, durissima è stata la presa di posizione del sindaco di Pieve di Cadore, Maria Antonia Ciotti, che ha scritto una lettera accorata ai suoi 66 colleghi del territorio bellunese: per lei la manovra sulla Camera di commercio, evidentemente, è la goccia che fa traboccare il vaso, dopo una serie di altri passaggi che in questi anni hanno indebolito l'architettura istituzionale, dal declassamento della Provincia a ente di secondo grado all'accorpamento con Treviso dell’Ufficio scolastico provinciale; dall'intenzione della Regione di inglobare la sanità bellunese nella medesima area vasta della Marca fino a scelte organizzative curiose, come quella della Cisl dolomitica che si è fusa con quella della grande realtà di pianura.
Il tutto, non va dimenticato, in un territorio alpino che da decenni rivendica una forma di autonomia e ne ha ottenuto il riconoscimento formale dapprima nel nuovo Statuto regionale del Veneto e successivamente nella legge attuativa dell'8 agosto 2014 che dava a Venezia sei mesi di tempo per trasferire le competenze (in materie fondamentali quali le attività produttive, l'agricoltura, il turismo, l'energia, le minoranze linguistiche eccetera). Ma il termine è scaduto un mese fa senza novità: il presidente del Veneto, Luca Zaia, si è limitato a dire che al momento non se ne fa nulla perché Roma ha tagliato i fondi necessari a garantire le coperture finanziarie dell'«autonomia» bellunese. E per parte sua, Daniela Larese Filon, sindaco di Auronzo di Cadore e presidente della «nuova» Provincia «azzoppata» non ha ritenuto di assumersi ugualmente la responsabilità di agire «come se», almeno per tutti gli atti di tipo normativo che non necessitano di trasferimenti economici.
In assenza di forzature da parte dei vertici bellunesi, la partita sull'autonomia ristagna, mentre il Veneto va rapidamente verso l'impasse da campagna elettorale e Roma si guarda bene dal codificare un qualche riconoscimento concreto alle aspirazioni della provincia dolomitica (si vocifera di una possibile eccezione in materia di Camere di commercio, ma nella realtà non c'è nulla di formale, mentre l'esecutivo Renzi, nell'ambito della riforma del titolo V della Costituzione, ha fatto bocciare alla Camera un emendamento firmato da Lorenzo Dellai che prevedeva uno statuto speciale per le due aree interamente montane di Belluno e di Sondrio)
Maria Antonia Ciotti ora intende fare nomi e cognomi di chi rema contro l'«autonomia» e invita tutti a «cominciare a ribellarsi contro questo sistema e queste persone». E fra i «colpevoli» indica, appunto, il presidente della Camera di commercio. «Vediamo una continua perdita di centri nevralgici importanti. Le persone che hanno fatto queste operazioni sono contro la nostra terra. Inutile lamentarsi se perdiamo servizi quando sono proprio i nostri rappresentanti a guidare questi interventi».
Chiamato in causa, il presidente Curto si difende affermando che l'accorpamento con Treviso appare l'unica opzione per la sopravvivenza del servizio («salvaguardando la peculiarità del Bellunese»), a fronte del decreto governativo e del dimezzamento dei proventi da diritti camerali. Lo stesso Curto, peraltro, spiega che potrebbero arrivare novità dal Parlamento, se passasse una modifica che riconosce l'autonomia alla Camere di commercio delle province interamente montane: «Ma per tradurre in pratica questa prospettiva - sottolinea - al riconoscimento formale dovrebbe far seguito un'adeguata copertura finanziaria».
A contestare sonoramente questa «fuga in avanti» del presidente è il movimento Bard (Belluno autonomia Regione Dolomiti), secondo il quale anche la gran parte degli associati all'ente camerale è contraria alla scelta di relazionarsi con Treviso e preferirebbe, se davvero fosse necessaria una fusione, l'opzione Trento.
«Apprendiamo - scrive il Bard - che, nella fretta di annunciare il patto con cui si liquida la Camera di commercio di Belluno, il presidente non si è nemmeno premurato di accertarsi in che modo e con quali provvedimenti concreti, sarà salvaguardata l’economia del particolare territorio completamente montano di Belluno». Fra l'altro «niente e nessuno obbliga ancora le Camere di commercio a fondersi e tanto meno a unirsi all’interno della stessa regione; per di più, nel nostro caso, con quella di Treviso che rappresenta una realtà territoriale ed economicamente assai diversa e distante da quella bellunese», proseguono gli autonomisti, che ora stanno preparando anche l'esordio alle urne nelle regionali di maggio.
Poi l'affondo e l'annuncio di una battaglia politica: «Siamo certi che la decisione del presidente rappresenti solo aspirazione dell’organismo direttivo e che pertanto sarà garantita alle imprese sul territorio ampia possibilità di scelta sul sistema camerale cui aderire. Non si capisce infatti, per quale motivo gli imprenditori del Feltrino, dell’Agordino o del Cadore possano vedersi costretti a decidere di annullare la loro rappresentatività all’interno del sistema economico trevigiano, quando possono scegliere la Camera di commercio di Trento o a quella di Bolzano che, oltre a garantire servizi migliori, appositamente pensati per la montagna, consentono una rappresentanza numericamente equilibrata e compatibile con gli interessi economici della nostra gente.
Si è almeno esplorata questa possibilità o si è invece forzata la mano per mettere la montagna di fronte al fatto compiuto della fusione con la pianura e fare in modo che la soluzione più ovvia e conveniente non possa essere percorsa?».
A sondare davvero questa possibilità, in particolare la prospettiva con Trento, ci stanno pensando altri che - a quanto pare - hanno già incontrato interlocutori interessati a ragionare sulla possibilità di una fusione camerale dolomitica. Fra l'altro, in questi giorni è in fase di formalizzazione un altro progetto sull'asse Trento-Belluno: la federazione dei due Ordini dei veterinari.
Nel frattempo, nei giorni scorsi, hanno fatto la loro comparsa a Belluno i tecnici inviati da Roma per spiegare tagli al personale e riduzioni varie alla Provincia declassata dalla legge Delrio: gli esperti sono arrivati all'aeroporto di Venezia e hanno chiesto un paio di auto blu per raggiungere il capoluogo dolomitico. Peccato, hanno perso l'occasione di provare le emozioni di un viaggio in treno, scomodo e lento, dalla laguna alle Alpi.