Ex Argentina, dieci richieste di rinvio a giudizio
Le notifiche di legge arriveranno a destinazione nei prossimi giorni. La Procura della Repubblica di Rovereto, e nel caso specifico il sostituto Valerio Davico (titolare del fasciolo), ha depositato alla cancelleria del gup la richiesta di rinvio a giudizio a carico di tutti e dieci gli indagati nell’ambito dell’inchiesta «ex Argentina», il caso giudiziario-politico che ha scosso l’amministrazione arcense e che vede coinvolto tra gli altri l’attuale vicesindaco Stefano Bresciani (Patt). La richiesta di rinvio a giudizio avvia di fatto il conto alla rovescia verso l’udienza preliminare prima e l’eventuale processo poi, a meno che alcuni degli indagati non scelgano riti alternativi o il giudice dell’udienza preliminare non decida per l’assoluzione.
Gli indagati sono l’imprenditore rivano Roberto Miorelli (legale rappresentante della Cosmi srl), il fratello Gianluca Miorelli (all’epoca dei fatti amministrazione delegato della Cosmi spa, ora Cosmi srl), l’attuale vicesindaco di Arco Stefano Bresciani (Patt), la dirigente dell’area tecnica del Comune Bianca Maria Simoncelli, la funzionaria dell’ufficio edilizia privata del Comune Tiziana Mancabelli, i membri della commissione edilizia del 2009 Massimo Favaro e Giorgio Bellotti e i progettisti della «Cosmi srl» Bruno Ferretti, Alessio Bolgan e Mariano Zanon, quest’ultimo direttore dei lavori.
A carico di tutti la Procura contesta il reato di «lottizzazione abusiva aggravata in concorso» in quanto avrebbero consentito la realizzazione dell’intervento edilizio in contrasto con l’articolo 75 del Piano regolatore generale e del regolamento edilizio del Comune di Arco. L’oggetto da cui discende tutto è la concessione edilizia numero 74, rilasciata dal Comune di Arco il 31 luglio 2009 ma vistata dalla commissione edilizia il 21 maggio dello stesso anno (il sindaco dell’epoca era Renato Veronesi).
Secondo l’accusa i passaggi di quella concessione, e quindi le ricadute concrete in termini ambientali, che avrebbero violato Prg e regolamento edilizio, sono svariati. In primo luogo chi ha presentato il progetto e poi costruito, ma anche i funzionari che avevano il compito di istruire la pratica e i membri della commissione edilizia si sarebbero completamente disinteressati degli elaborati con lo «stato di fatto» e con il calcolo analitico dei volumi esistenti. Con il risultato che, afferma la pubblica accusa, è stata realizzata una consistente volumetria non consentita. Secondo il perito della Procura, il geometra Paolo Bruschetti, la quota eccedente il consentito ha raggiunto i 20 mila metri cubi, per essere precisi precisi 19.850,05.
A carico dei funzionari pubblici, e quindi in primis anche dell’attuale vicesindaco Stefano Bresciani, la Procura contesta anche il reato di «abuso d’ufficio» che si sarebbe consumato nel momento in cui «si autorizzava la costruzione del complesso pressoché in muratura, in contrasto con quanto previsto dal Prg che prescriveva “si dovranno prediligere soluzioni architettoniche leggere caratterizzate dall’uso di legno, acciaio e vetro”». Inoltre Bresciani e i membri della commissione, sempre secondo l’accusa, «autorizzavano la costruzione dell’edificio denominato D a monte di quello principale», anche in questo caso in violazione dello strumento urbanistico, e «non richiedevano la rilevazione degli alberi d’alto fusto esistenti», cosa invece prevista, assieme alla loro salvaguardia, dal Prg.
Nell’avviso di chiusura indagini il pm Davico scriveva che «il comportamento degli indagati ha procurato alla società Cosmi un ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dal maggior guadagno conseguente alla realizzazione di un volume edificatorio superiore al consentito e dal minor costo derivante dalle mancate richieste rispetto alle operazioni di recupero e salvaguardia».