Persone / Il racconto

La storia di Athos Pasquali: “Sono autistico, ora lo so e ho ricominciato a vivere”

All'età di vent'anni ha ottenuto la diagnosi di "sindrome di Asperger", il livello più lieve dello spettro autistico. Alla Campana dei caduti ha parlato di cosa vuol vivere convivere con quel disturbo. Gli mancano due esami alla laurea e lavora alla locanda “Dal Barba” di Villa Lagarina

di Laura Modena

ROVERETO. Da qualche tempo impiegato alla Locanda "dal Barba" di Villa Lagarina, Athos Pasquali (in foto), 26 anni, di Trento, si occupa di servire i clienti al banco, preparando bevande e aiutando i camerieri. «Il lavoro in sé non è il mio, ma questo è il posto migliore che potessi trovare, qui è fantastico». Un "ristorante senza barriere" che dal 2016 accoglie nel contesto lavorativo gastronomico persone con fragilità. All'età di vent'anni Athos ha ottenuto la diagnosi di "sindrome di Asperger", il livello più lieve dello spettro autistico. «Ma è una definizione che detesto. Viene da un medico complice del nazismo che aveva distinto Asperger e autismo, solo perché gli "Asperger" servivano al Reich e gli autistici no». Dopo un periodo di pausa negli studi, oggi Athos è a un passo dalla laurea in Informatica all'Università di Bolzano.
Athos, hai preso la maturità classica al Prati, un liceo prestigioso. Come andavi a scuola?
Dal punto di vista dei risultati bene, mai avuto problemi. Ma ho subito bullismo fin dalla terza elementare, poi è andata un po' meglio alle medie dove un paio di amici li avevo. Al liceo invece ero completamente isolato dagli altri, anche se avevo un buon rapporto con i professori. In classe c'erano tre gruppi: quelli popolari, quelli alternativi e poi c'ero io.
Finché è accaduto qualcosa…
A un certo punto tutti gli stress della vita si sono messi insieme. Penso di aver vissuto quello che nelle community dedicate all'autismo viene chiamata burnout autistico.
Di cosa si tratta?
Di solito persone autistiche di livello 1 come me, o anche 2, imparano a nascondere i propri tratti autistici. Ma a furia di farlo si crea un certo stress nel cervello. Poi, improvvisamente, tutto crolla.
Come ci si sente quando si cade in burnout?
Assomiglia alla depressione, non riesci a fare le cose, sei triste. A me è successo il secondo anno di università. Sono crollato completamente, non riuscivo più a studiare. Ho provato con gli antidepressivi, ma non funzionavano e ho smesso presto. Poi mia sorella ha suggerito a mia madre di farmi vedere da uno specialista.
Quindi è iniziato il percorso di accertamento…
In realtà io ho sempre avuto contatti con gli specialisti. A tre anni perché giocavo e leggevo ma non parlavo, a dieci perché subivo bullismo. Poi a 16 anni, con le prime cotte andate male, mia madre ha cominciato ad avere paura perché mi vedeva sconvolto, distrutto. Mi piaceva andare sul tetto, avevo l'impulso di farmi male e pensieri suicidi abbastanza seri. Mi sono rivolto a un altro psicologo che si è avvicinato alla realtà, dicendo: "Non è autistico, ma ha segni di autismo". Poi a 20 anni i risultati di un test mi hanno definito come "Asperger".
Come hai vissuto quel momento?
Ho provato sollievo perché finalmente la mia situazione aveva un nome. Il secondo giorno ho pianto perché pensavo "non sono mai stato e non sarò mai normale". Nei quattro anni successivi ho affrontato un percorso di accettazione del fatto di non essere neurotipico.
Perché la diagnosi è arrivata così tardi?
Ci sono ancora stereotipi tra alcune persone di scienza. Ma siamo umani ed è difficile avere conoscenze senza pregiudizi in testa. Quando ero piccolo l'autismo poteva essere più evidente, ma allora se ne sapeva poco. Poi, una volta cresciuto, nascondevo un sacco di cose e si vedeva meno.
Cosa pensi di come viene considerato l'autismo oggi?
Deve ancora essere tolto lo stigma e bisogna capire che nello spettro autistico ci sono moltissime variabili. Quando hai conosciuto una persona autistica hai conosciuto solo una persona autistica, non l'autismo.
Qualche giorno fa hai partecipato alla Giornata di conoscenza dell'autismo alla Campana dei Caduti…
Ho già tenuto discorsi in pubblico in precedenza, e l'evento è stato organizzato dal Barba, così sono stato invitato a parlare. Il presidente Alessandro Pontara crede nel fatto che una persona con disabilità del neurosviluppo debba rappresentare se stessa, se ne ha la possibilità. E io ho dato dimostrazione di poterlo fare.
Che opinione hai di questa iniziativa?
L'iniziativa è un passo nella direzione giusta. Personalmente sentivo il desiderio e il dovere di dire qualcosa che di solito non si sente ogni 2 aprile.
A parte le statistiche, cosa comporta in modo specifico l'autismo?
La gente sa che ci sono problemi sensoriali, ipersensibilità a suoni, colori o luci, eccetera?
Come vivi oggi?
Voglio dare il mio contributo per creare un mondo in cui la bassa autostima o pensieri suicidi non siano così diffuse tra le persone autistiche. Per me l'autismo è il modo in cui è fatto il mio cervello, il resto viene da fuori. Ho iniziato a capire cosa posso fare in modo sostenibile e a vivere un po' più per me stesso, con effetti positivi sulla mia autostima. Ora posso dire che si può migliorare e si può creare un mondo dove le persone possano accettare le limitazioni. Essere divergenti non significa avere necessariamente dei deficit. Qual è il tuo sogno?
Sto studiando per diventare un programmatore, mi mancano solo due esami e la tesi. Ma da anni, fin dalle prime esperienze nelle compagnie teatrali delle medie e al liceo Prati, recito qua e là nei teatri. Il mio sogno è questo, vorrei fare l'attore.

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