Le parole servono, se sono civili
Nell’orizzonte che ogni giorno di più sembra chiudere la visuale sui buoni rapporti interpersonali, un messaggio improntato alla buona educazione e alla tolleranza, senza minacce e attacchi personali, fa bene sperare. È così nel caso specifico di uno «sfogo» - come lo definisce un lettore, Paolo - in merito al «buonismo mio e della sinistra sui migranti», uno sfogo che - dice - «lo fa sorridere, anzi piangere, perché è molto facile riempirsi la bocca di buoni propositi che tutti vorrebbero attuati, accoglienza e integrazione, lavoro per tutti, welfare per tutti e magari abbasso la guerra e le malattie e i cattivoni leghisti. Ma tutti questi sinistrorsi con il rolex al polso fanno qualcosa di concreto per attuare quanto sopra o parlano solo?».
Quindi il lettore passa a descrivere le situazioni di disagio di piazza Centa, a Trento, dove «da due mesi i residenti - racconta - trascorrono le notti in bianco perché gruppi di richiedenti asilo passano la notte urlando, litigando, ascoltando canzoni e bevendo». E ancora «queste persone dovevano essere accolte solo se si aveva la certezza di dar loro una vita dignitosa e non renderli dei rifiuti della società civile solo per mettere in buona pace gli utopistici ideali della sinistra».
Abbasso le malattie - conclude - abbasso la cattiveria, abbasso la guerra, ma con le sole parole non si arriva da nessuna parte.
È proprio vero, con le sole parole non si arriva da nessuna parte. Ma quali parole? Quelle della cosiddetta sinistra messe sotto accusa per lo spirito buonista? Sappiamo che ogni termine ha il suo contrario, quindi il buonismo dovrebbe contrapporsi al cattivismo, che però non viene mai citato. E semmai, quali sono le parole del cattivismo?
Il discorso porterebbe lontano e alla fine potrebbe forse dimostrare come le parole servano sempre se sono espressione di un pensiero, premessa ai fatti che ne dovrebbero seguire da parte di ogni cittadino e quindi di tutta la collettività. Per non dire di chi quella collettività è stato delegato a governare. Pare tuttavia che anche lì non si lesini sulle parole e che non sempre si traducano nei fatti.
Sarebbe costruttivo cercare di essere sempre obiettivi per non correre il rischio di generalizzare. Non credo che «tutti quei sinistrorsi abbiano il rolex al polso». Così come non sono sicura che in piazza Centa siano soltanto «gruppi di richiedenti asilo» che rovinano il sonno alla gente. Anche perché i richiedenti asilo, a detta del Ministro dell’Interno, dovrebbero avere una corsia preferenziale ben diversa da quella dei migranti economici. O forse sono questi che occupano la piazza? Può essere e non cambia nulla, perché è sicuramente inaccettabile che chiunque si arroghi il diritto di prevaricare sugli altri.
La propria libertà, lo sappiamo bene, deve assolutamente fermarsi là dove va a invadere la sfera di libertà altrui. Risulta, ascoltando i residenti di altre zone della città, che ogni notte qualcuno urli, rompa le cose altrui, canti, beva, vomiti, sporchi, suoni i campanelli, si nasconda appena arriva la volante e torni subito dopo, appena se n’è andata, a fare le stesse cose fino alle ore piccole o anche fino all’alba, allontanandosi proprio quando gli abitanti stanno per iniziare una giornata di lavoro. Una di queste zone, fra le altre, è quella di via San Marco e dintorni. Chiedere per credere. Ed è chiedendo che si viene a sapere come questi molestatori della quiete non siano tutti neri né tutti migranti, ma «normalissimi» bianchi, ragazzi e ragazze che ritengono di avere il diritto di divertirsi in quel modo, non riconoscendo il diritto degli altri di dormire.
Io credo che non si possa fare d’ogni erba un fascio, credo che in questo caso non valga il sillogismo: tutti gli immigrati danno fastidio, tu sei un immigrato, quindi dai fastidio. A prescindere. Essere senza lavoro, trascinare senza far niente le giornate, non avere un alloggio decente e via dicendo può favorire certi modi d’agire, ma quelli che non sono nelle stesse situazioni eppure fanno le stesse cose che giustificazione possono avere?
Allora qualche volta le parole non sono inutili, ovviamente se civili, senza pregiudizi e rivalse. Parole non per prevaricare, ma per mettersi a confronto. Perché i ragionamenti possono e anzi devono contribuire al fare. Ciascuno per quello che può.