Un popolo che sceglie di ridiventare umano
Un popolo che sceglie di ridiventare umano
Questo è il popolo che decide di uscire dal mucchio per diventare cittadini, tanti singoli cittadini che insieme diventano una forza quando decidono che sia arrivato il momento di pensare a voce alta, civilmente, al bando la violenza, prevalgano le idee. Queste sono le persone, tante decine di migliaia che a Milano si sono riunite il 2 marzo per dire basta alla diffusione dell’odio e della rabbia, ridiventiamo umani, basta al razzismo e alla discriminazione.
Non siamo «contro» ma «per». I sostenitori di certe posizioni estremiste assicurano che di razzismo neanche l’ombra. Ma se non è così, qualcosa di molto simile c’è nell’aria quando si lasciano galleggiare in mare i migranti o quando si allontanano 24 profughe dalla struttura di Lavarone dove sono alloggiate da tempo, ormai integrate e ben accettate dalla gente del luogo. Ha una logica tutto questo? È normale tutto questo? Se non lo è, come mai si sta diffondendo un atteggiamento di sospetto, come mai si aggrediscono sempre più spesso le persone diverse solo perché hanno la pelle di colore diverso? Diverse e per questo da respingere?
Se non è razzismo, come mai il governo non interviene dicendo che così non va, che la tolleranza va praticata nelle parole e soprattutto nei fatti, che chi ragiona così non è un buonista, che chi ritiene di essere fortunato e non di avere tutto per diritto non è uno sprovveduto? Ma il governo sta zitto.
Anzi qualcuno sta zitto (forse si tratta di silenzio assenso?), qualcun altro parla e sarebbe preferibile che stesse zitto.
Ciascuno, ovviamente, ha libertà di pensiero. Esiste tuttavia un limite oggettivo oltre il quale diventa pericoloso spingersi e spetterebbe a chi ha maggiori responsabilità indirizzare su una strada più corretta. Viceversa soffiare sul fuoco a che serve, al bene del popolo? Qual è l’obiettivo? L’esigenza che avvertiamo - ebbe a dire recentemente il Presidente della Repubblica - è la capacità di guardare al futuro, di non essere prigionieri del presente. E poi: la nostra Europa attraverso la cultura ha sviluppato il suo futuro in mezzo a tanti ritardi, tanti errori, tanti scontri fratricidi. Ma è la cultura che le ha permesso di andare oltre. Messaggi chiari, orecchie sorde. Sulla cultura non si fanno investimenti importanti.
La scuola non è considerata fra le priorità. Non a sufficienza. E dire che la cultura permetterebbe di attrezzarsi per ragionare in proprio, per capire le cose, per approfondire, per non accettare a scatola chiusa tutto ciò che vien dato. Non solo grammatica, pure importante, ma sensibilità, un insieme di conoscenze che diano gli strumenti per poter esercitare una riflessione critica autonoma, senza essere succubi della persuasione più o meno occulta da parte degli altri, i più furbi. Cultura e istruzione, un binomio perfetto. E allora, se un governo assicura di voler fare tutto per il bene degli italiani, prima gli italiani, perché non decide per un investimento massiccio su quel binomio, così che gli italiani siano in grado di distinguere la differenza fra il grano e il loglio? Là dove per loglio si intende la zizzania che infesta i campi?
Norberto Bobbio affermava che compito importante degli uomini di cultura è anche quello di seminare dubbi, non di raccogliere certezze. È mai stato espresso qualche dubbio dai nostri governanti? Quando uno dice non mollo o dice vado avanti o dice non arretro di un centimetro o dice resto delle mie idee - chi con più grinta e chi con più sorrisi - significa che non viene sfiorato dal dubbio. O se dubbio c’è non è costruttivo ma è solo mancanza di umiltà per chiedere a chi è più competente. E il dubbio viene spacciato per democrazia chiedendo al popolo di esprimersi direttamente, come è successo recentemente con il ricorso a un pugno di voti sulla piattaforma Rousseau per togliere dall’imbarazzo di decidere chi è stato votato per farlo.
Come ricordava tempo fa un lettore del nostro giornale, nel 2017 l’Italia risulta il terzultimo Stato membro dell’Unione europea per spesa in istruzione. E meno si è preparati - conclude - più si è esposti all’inganno.
Potremmo consolarci leggendo il rapporto 2018 dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che dà in testa il livello del Trentino nel settore dell’istruzione di qualità. Ma non basta, il Trentino non è tutta l’Italia.
Il professor Mario Cannella, che da oltre vent’anni cura gli aggiornamenti dello Zingarelli, afferma sconsolato: abbiamo assistito a uno smarrimento totale di gerarchie e competenze, per cui il parere del vicino di casa vale quanto quello dello scienziato.
Insomma, bisognerebbe ripartire dalla scuola. Bisognerebbe investire di più nella scuola. La cultura non deve far paura. E siccome fa anche rima, potrebbe diventare il titolo di una canzone per il Festival di Sanremo, così forse qualcuno canticchiandola si chiederebbe perché.