Gli odiatori e l'ignoranza della storia

Gli odiatori e l'ignoranza della storia

di Sandra Tafner

«Ebrea, vecchia, ignorante e in malafede». È una delle tante frasi, tra le meno offensive, che anonimi odiatori inviano ogni giorno alla senatrice a vita Liliana Segre, reduce dal campo di sterminio di Auschwitz. Ogni giorno.

Perché? Forse, avendo una risposta, sarebbe più facile trovare un punto di contatto, parlare, spiegare e farsi spiegare. Purtroppo però la soluzione sembra lontana, data l’ignoranza dilagante di chi porta avanti come un credo la pratica antisemita (e in genere anche un’avversione verso chiunque sia ritenuto diverso). Tra queste persone molti sono ragazzi: perché odiano una persona sconosciuta, protagonista di una storia a loro sconosciuta? La scheda anagrafica testimonia l’impossibilità che abbiano vissuto in prima persona quel periodo. La diffusa bassa scolarità testimonia una scarsa conoscenza di quanto accaduto nel periodo nazista e quindi su che cosa si basa la loro irrisione dell’Olocausto, ammesso che conoscano il significato della parola? Come ha fatto quel tale a sostenere, quando Liliana Segre pronunciò il suo discorso al Senato, che i campi di sterminio sono una fandonia? Troppo facile pronunciare frasi che non si reggono sul sapere e assurdo negare l’evidenza dei fatti.

Sarebbe bello per tutta questa gente, dai manifestanti esagitati agli anonimi della tastiera, tornare bambini, all’età dei perché. Così le cose potrebbero capovolgersi, non più chi non si rende conto di questi comportamenti a porre domande, ma chi si comporta in questo modo a chiedere spiegazioni. Perché stiamo agendo così? Che cosa sappiamo degli ebrei, qual è il motivo del nostro odio? Ditene uno, anche uno solo dei motivi che nei secoli hanno marcato secondo voi quel popolo talmente in profondità da non poter essere perdonato, un testamento da tramandare alle generazioni future, per sempre. Fine odio mai.
Ovviamente, per quanto molte credenze possano avere come base l’ignoranza (nel senso di ignorare), sembra impossibile che ci sia chi ritiene validi certi stereotipi che vogliono gli ebrei usurai, avari, avvelenatori di pozzi al fine di diffondere la peste, adepti di consorterie sataniche. Chi pensa che abbiano il naso aquilino perché simbolo di avidità, i capelli rossi come quelli di Giuda e che usino il sangue dei bambini cristiani per impastare il pane azzimo della Pasqua. Si potrebbero inventare molti altri elenchi suggestivi, basta un po’ di fantasia e dire la prima cosa che passa per la testa.

Si torna così alla domanda: perché tutto questo odio? Perché qualcuno, magari dei meno ignoranti, non riesce a buttar lì una frase anche minimamente intelligente? Come Bjoern Hoecke, leader dell’ala estremista di «Alternativa per la Germania», laureato e tra l’altro insegnante di scuola superiore, che definisce una vergogna il monumento di Berlino all’Olocausto.

Ecco, si dovrebbe chiedergli perché. Forse ha ragione Liliana Segre quando afferma che gli hater (gli odiatori) le fanno soltanto pena, si tratta di persone che andrebbero curate. La stessa cosa può dirsi per i razzisti d’ogni tipo e d’ogni genere. E come si fa a curarli se non cominciando dall’educazione e dalla cultura? Una strada lunga, soprattutto quando non si comincia mai o si comincia al rallentatore. In questa tela di Penelope c’è infatti chi fa e chi disfa. Basti dire dei programmi scolastici a misura di ministro. Ora alla maturità sarà ripristinata nelle prove scritte la traccia storica? E ben venga, sperando che duri per un po’. Molte erano state le proteste quando si era ritenuta la storia una materia di poca importanza - gli effetti della non conoscenza sono infatti davanti agli occhi - ma troppo spesso restano senza seguito. Poi si è fortunati se un cambio di governo rimette ordine, ma intanto il tempo perso è perso con le conseguenze sotto gli occhi di tutti. Dunque si torna a rivalutare la conoscenza del passato. Cosa buona e indispensabile, ma se può essere facile aprire un libro, purtroppo sarà tanto più difficile aprire le menti. Soprattutto di chi frequenta più la tastiera incontrollata dei social che i banchi della scuola.

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