Dall'Amazzonia i nodi al pettine

Dall'Amazzonia i nodi al pettine

di Luigi Sandri

Il Sinodo sull’Amazzonia si dimostra specchio delle speranze, tensioni e contraddizioni della Chiesa romana. Le voci che auspicano profonde riforme strutturali su temi “caldi” - i ministeri femminili; l’ordinazione di “viri probati” - sono contrastate da una parte, pare minoritaria, di prelati che le ritengono deleterie.

Sullo sfondo rimangono da sciogliere arditi problemi teologici.
Iniziato il 6 ottobre, il Sinodo si concluderà tra due settimane: da quello che si sa (non abbiamo gli interventi integrali!) pare che le voci “progressiste” prevalgano su quelle che invocano prudenza. Tra le più forti, quelle di alcune suore - ma le religiose non potranno votare, essendo questo diritto riservato solo ai “padri”.

Esse, ma anche diversi vescovi, hanno sottolineato che la richiesta di riforme viene dagli stessi indigeni amazzonici cattolici (e non tutti lo sono): essi prospettano una “Chiesa india” che, mentre annuncia Cristo, rispetti però la loro mentalità. E così il vescovo austriaco Erwin Kräutler - classe 1939 - che per oltre trent’anni ha guidato la prelatura territoriale di Xingu, di fatto una diocesi brasiliana vasta più dell’Italia, nella foresta amazzonica, ha ribadito una sua idea: il celibato è una scelta incomprensibile per gli autoctoni, dato che per essi la trasmissione della vita fa parte della comprensione del loro rapporto con la Terra-madre. Infatti, «si pone il celibato sopra l’Eucaristia»; cioè - ha spiegato il vescovo in varie interviste - si preferisce lasciare le comunità prive di preti (quelli, pochissimi, del territorio, tutti celibi, possono visitare i villaggi remoti solamente una volta all’anno), piuttosto che mettere in discussione la legge del celibato sacerdotale obbligatorio.

Un problema ripreso da una suora presente al Sinodo: lei - ha raccontato - ascolta perfino le confessioni degli autoctoni, li conforta, ma non può assolverli: il penitente, per questo, dovrà attendere il prete, magari tra molti mesi! Tra le righe, una domanda: e perché mai le donne non potrebbero essere consacrate e celebrare tutti i sacramenti? Tagliente la risposta (sulla stampa) del cardinale Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e due anni fa “dimissionato” da papa Francesco: mai e poi mai si potrà violare la tradizione cattolica. Il riferimento è a Giovanni Paolo II il quale, nel 1994, proclamò come “sentenza da tenersi in modo definitivo” che la volontà di Cristo esclude del tutto la donna-prete. Tesi oggi respinta da molti teologi e teologhe.

Ieri il Sinodo ha preso un giorno di riposo: e Francesco ha canonizzato tre religiose e una laica, vissute tra Ottocento e Novecento, e il cardinale inglese John Henry Newman (morto nel 1890), già anglicano e poi convertito al Cattolicesimo. Di questo grande personaggio, basti qui una battuta; richiesto di fare un brindisi al papa e alla coscienza, disse: «Sì, ma prima alla coscienza».

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