Pergine, cronaca di un suicidio annunciato

di Marco Boato

Ha fatto bene il direttore Pierangelo Giovanetti a scrivere l'editoriale su «La lezione di Pergine», con una analisi pienamente condivisibile, sia per quanto riguarda l'esito delle elezioni nella terza città del Trentino, sia per quanto si riferisce alla situazione provinciale. Avendo in questi mesi partecipato a tutte le riunioni del centro-sinistra autonomista tanto a Pergine quanto a Trento, posso affermare con forza che esiste non certo una identità, ma sicuramente uno stretto intreccio tra la dimensione comunale e quella provinciale, nonostante da più parti si cerchi di «esorcizzare» la vicenda di Pergine come un problema strettamente locale, caratterizzato solo da personalismi, e privo di rilevanza politica più generale. Non è così, purtroppo.
«Cronaca di un suicidio annunciato»: parafrasando il titolo di un famoso romanzo di Gabriel Garcia Marquez, avevo così stigmatizzato la dinamica che si era innescata nel centro-sinistra autonomista di Pergine, ammonendo per tempo tutte le forze politiche che ne facevano parte di rendersi conto che questo sarebbe stato l'esito nel caso di una infausta divisione e contrapposizione elettorale e, a maggior ragione, a separazione avvenuta, nel caso di un mancato apparentamento almeno al secondo turno di ballottaggio.
La prima riunione della coalizione si tenne il 6 marzo, l'ultima - prima della spaccatura definitiva - il 17 aprile. Ma prima ancora del 6 marzo, il Patt aveva chiesto di emarginare le forze politiche «minori» dalla coalizione e di allearsi con la «Civica» di Daniela Casagrande, altri (il Pd) aveva chiesto la «discontinuità» con l'amministrazione entrata in crisi, altri ancora (l'Upt) invece rivendicava la continuità con l'amministrazione Corradi. Nessuno ricorda in questi giorni che la crisi di Pergine era stata determinata prima dalle dimissioni dell'assessore Beber del Patt per una vicenda urbanistica, poi dalle improvvise dimissioni dell'assessore Morelli dell'Upt contro il sindaco del suo stesso partito, e, da ultimo, dalle dimissioni «imposte» dall'Upt provinciale al sindaco Corradi a pochi giorni dall'1 marzo, data oltre la quale le dimissioni non avrebbero determinato il voto nel 2013 (per poi rivotare nel 2015!), ma si sarebbe arrivati alle elezioni nel 2014 e poi la successiva consiliatura sarebbe durata sei anni.
L'Upt provinciale aveva imposto le dimissioni a Corradi, per timore di ripercussioni negative delle vicende che lo riguardavano sulle elezioni politiche del 24-25 febbraio (con Dellai candidato di Scelta civica), ma lo stesso partito è poi risultato del tutto ininfluente (e anche mal sopportato dai suoi) in tutta la dilacerante vicenda successiva, che ha portato prima alla spaccatura del centro-sinistra autonomista e poi addirittura al mancato apparentamento per il secondo turno con Pd e Verdi, determinando così in modo ineluttabile il disastro finale. Appunto: «cronaca di un suicidio annunciato».
Purtroppo le analogie con la situazione provinciale sono molte: a Pergine domenica 7 aprile erano state decise le Primarie di coalizione per scegliere il candidato sindaco, ma il giorno dopo l'Upt aveva annullato l'accordo della sera prima, affermando che l'unico candidato possibile era Marco Osler senza Primarie. I Verdi hanno cercato in ogni modo di trovare una mediazione su altri nomi da far condividere alla coalizione, ma di riunione in riunione, nessuno essendo disposto a rimettere in discussione il proprio candidato (Pd compreso), si è arrivati alla rottura irresponsabile del 17 aprile. Salvo assicurarsi tutti reciprocamente che, al secondo turno, considerato inevitabile, si sarebbe certamente ricomposta l'unità del centro-sinistra autonomista, tramite gli apparentamenti previsti dalla legge. Mai promessa fu tanto ipocrita e falsa. Il giorno stesso dei risultati elettorali del primo turno (26 maggio) sono partite sui giornali le accuse irresponsabili di Upt e Patt al Pd («una palla al piede»), fino al punto di dichiarare (Morelli): «meglio perdere che allearsi col Pd». Sono stati accontentati dagli elettori del 9 giugno, che hanno fatto vincere Roberto Oss Emer, anche con molti voti provenienti dall'area del Pd (non dei Verdi), i cui esponenti sono andati addirittura a festeggiare l'elezione di Oss Emer. Sembra un romanzo dell'orrore o, meglio, sembrano istruzioni per l'uso: su come farsi male, molto male, da soli, da una parte e dall'altra.
«Divisi si perde», «l'innovazione vince sulla conservazione»: ora tutti sono pronti a sentenziare sul significato del voto di Pergine. Troppo facile dirlo ora. Bisognava pensarci prima e decidere diversamente. Chi (Upt, Patt, Psi e Stella) si vedeva già al governo di Pergine senza Pd e Verdi, per incassare da soli il premio di maggioranza, ora si lecca le ferite e registra le molte esclusioni dal Consiglio comunale. Chi chiedeva l'apparentamento con Osler (il Pd) è andato a votare per Oss Emer e poi a festeggiare con lui. I Verdi, fortunatamente, hanno mantenuto la rotta dall'inizio alla fine, senza sbandamenti, ma inutilmente. Poiché chi governerà ora Pergine lo farà col voto di un quarto dei cittadini (ma col 60% degli eletti), i Verdi stanno studiando un ricorso giurisdizionale per sollevare la questione di incostituzionalità della legge elettorale per le comunali, che non prevede una soglia minima del 40% per ottenere il premio di maggioranza. Esattamente come per il «Porcellum», su cui ora la Corte di cassazione ha sollevato la questione di incostituzionalità di fronte alla Corte costituzionale. Ma questo riguarderà il futuro. Per il presente «la lezione di Pergine» analizzata da Giovanetti dimostra che, fortunatamente, non esistono più «rendite di posizione» per nessuno e che chi vuole ottenere il consenso dei cittadini (e magari ridurre la tentazione crescente dell'astensionismo) deve saperselo meritare con la coerenza dei programmi, l'unità della coalizione e la credibilità delle candidature. Una lezione che da Pergine arriva fino a Trento e alle prossime elezioni provinciali. Se qualcuno vuol mettere la testa sotto la sabbia, per non vedere e non capire, sa cosa lo aspetta.
Marco Boato
Già senatore della Repubblica

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