Priebke, SS, partigiani e la manipolazione della storia

di Bruno Dorigatti

Mentre con lucidità e precisione il direttore Pierangelo Giovanetti commenta le opinioni, francamente pesanti, di Renzo Gubert - il quale prova, ahimè, a spostare l’attenzione dal caso Priebke all’azione di guerra partigiana di via Rasella, nella Roma del 1943 - il prof. Vincenzo Calì coglie perfettamente i contorni complessi di una delle pagine più difficili della nostra storia nazionale, durante l’occupazione nazista.

 

Appunto. Durante l’ occupazione nazista e non in un qualunque altro periodo della nostra travagliata storia. Durante un tempo cioè fatto di oppressione, di violenza spesso gratuita, di drammi personali e collettivi, di rastrellamenti e di rappresaglie, com’è, purtroppo, il tempo della guerra.  Ecco perché quell’azione partigiana, come tante altre, fu un atto di guerra e non un “vile attentato contro cittadini inermi” in un periodo di pace. Fu un atto di guerra, al quale corrispose solo la lugubre reazione della feroce rappresaglia contro innocenti, anche casualmente arrestati per l’occasione. Dapprima, come noto, Hitler aveva infatti preteso un rapporto di “cinquanta italiani morti per ogni tedesco”. Un massacro. Poi i suoi ordini folli vennero ridimensionati, sopratutto per le difficoltà logistiche del caso, fra le quali quella di trovare in fretta le vittime, come affermato dagli stessi tedeschi. “Per le difficoltà logistiche” quindi, non per umanità. Questi sono i fatti.

 

E quello che allora preoccupa del ragionamento di qualcuno è l’evidente tentativo di porre tutto sullo stesso piano: SS e partigiani; uomini dei “Polizei Regiment” e cittadini romani; occupanti ed occupati; vittime e carnefici. Questo è il negazionismo.

Quando si manipola la storia, al solo fine di darne interpretazioni di parte e per giustificare l’ ingiustificabile, il rischio di spingersi oltre ogni decenza è sempre in agguato.

 

La morte di Priebke, ovvero di uno dei principali e spietati motori di quella tragica mattanza delle Fosse Ardeatine e non solo, non chiude un capitolo. Semmai ne apre di nuovi, come quelli indispensabili  della conoscenza e della trasmissione della memoria, affinché tentativi come quelli di certi “cattivi maestri” vadano a cozzare contro la loro stessa carenza di senso.

 

Ma al di là anche delle contingenze, io credo che non possa  non preoccupare il risorgere, mai così evidente come in questa campagna elettorale, di certe nostalgie: abbiamo cominciato inneggiando a Mussolini e chiudiamo rivendicando pietà per Priebke. Ma dove siamo arrivati ? Dov’è quell’antifascismo che sta a fondamento della nostra stessa Carta Costituzionale?

 

Io credo che il Trentino, come il resto del Paese, possieda ancora sufficienti anticorpi davanti a simili fenomeni. Eppure  non posso tacere il disagio che provo nel veder fiorire letterature revisioniste e richiami alle ideologie della superiorità razziale, dell’antisemitismo e del dominio di pochi su molti, in un silenzio dei più che sconcerta. Non mi interessa affatto dove sarà sepolto un mucchio d’ ossa. Purchè sia sepolto. Per sempre.

                                                                                                             

Bruno Dorigatti, candidato per il Pd

 

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