Pakistani cacciati, qui avevano una casa

Pakistani cacciati, qui avevano una casa

di Claudio Bassetti

Un rifugio, temporaneo, ai margini della città, per poco più di un mese, per resistere ai primi freddi, avere pasti caldi, una idea di umanità. Questa era la residenza Fersina per uomini che provenivano dal Pakistan dopo un percorso fatto di fatiche, sofferenze, respingimenti, indifferenza. Un rifugio dopo notti all’aperto, sotto teli di fortuna, per portare avanti un sogno di dignità.

Un rifugio messo a disposizione da chi ritiene che politica significa farsi carico dei bisogni e delle necessità di tutti. Bisogni elementari, primari, di persone che hanno i nostri stessi diritti, di noi che abitiamo e viviamo questo territorio, quelli previsti dalla Dichiarazione universale dei Diritti umani: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Necessità di dare ai cittadini un sistema capace di gestire le emergenze sociali, risolvere le situazioni di degrado, condizioni che consentono di garantire la sicurezza di ognuno.

Ma in questi giorni abbiamo assistito ad una precisa volontà di mettere in discussione tutto questo. La volontà parte dal governo provinciale, in particolare del presidente Fugatti, che interviene pesantemente sulla soluzione adottata. La scelta è nota: meno della metà dei richiedenti asilo rimarrà nella struttura in attesa del riconoscimento, l’altra riprenderà ancora una volta il cammino verso terre nuove, di nuovo in cammino con le spalle piene di precarietà infinita verso strutture di cui nessuno conosce caratteristiche e localizzazione.
Eppure non era difficile tenerli in questa terra, che ha nel suo carattere una forte componente solidaristica, che ha dentro, nel suo codice, una tradizione di aiuto e attenzione, che possiede capacità di farsi carico di chi soffre. Non era difficile, perché questa terra ha dato risposte ad emergenze ben più alte nella sfida e nelle dimensioni. Non si tratta di fare graduatorie fra persone che hanno bisogni fondamentali di aiuto e assistenza. Il X rapporto della Caritas sulla Povertà ha messo in luce la dimensione della condizione di povertà, che colpisce in modo indifferenziato trentini e non, documentando allo stesso tempo che le risposte sono date in funzione delle priorità, non certo della provenienza.

E sono risposte di quella collaborazione e integrazione tra volontariato e associazionismo organizzato che a buon diritto si può definire parte della spina dorsale della nostra comunità. La politica ha il dovere imprescindibile di favorire la coesione sociale, l’attività dei volontari, l’azione delle associazioni che sono dentro la società trentina, la permeano e ne intepretano lo spirito più autentico. Quelle associazioni, quei volontari chiedono a gran voce la massima attenzione per tutte le persone, soprattutto le più deboli, fra le quali quelle che cercano una speranza di futuro. La politica deve dare autentica interpretazione a quell’articolo 10 della Costituzione - per la quale ci si è confrontati lo scorso anno in una dura battaglia: «La migliore Costituzione del mondo», e che recita nel terzo comma: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge». Ecco, esercitare un mandato democratico significa dare interpretazione autentica ai principi fondanti della nostra comunità nazionale e fornire risposte che siano coerenti, facendosi carico delle responsabilità.

In questa dimensione volontari e associazioni faranno la loro parte, col massimo dell’impegno e della partecipazione attiva, per continuare a costruire una società che sia capace di riflettere su se stessa, consapevole del proprio ruolo e della propria importanza.

comments powered by Disqus