La rabbia per Venezia

La rabbia per Venezia

di Paolo Micheletto

Mentre il Trentino affronta i disagi della prima grande nevicata di fine 2019, fanno il giro del mondo le immagini di Venezia che affonda sotto l’acqua granda. E quindi la Basilica di San Marco danneggiata dalla marea, con la cripta sommersa, le gondole e le barche strappate dagli ormeggi e spinte sulle rive.

E poi ancora i vaporetti affondati, la Fenice che chiude, i caffè e i ristoranti devastati. La Basilica di San Marco non era mai stata invasa dalle acque in un modo così invasivo dall’alluvione del 1966, i preziosissimi pavimenti musivi sono a rischio anche per le tante ore passate da quando l’acqua li ha coperti. Per non parlare dei danni al piano terra di Palazzo Ducale, sede della soprintendenza, dell’acqua nelle Procuratie Vecchie e in quelle Nuove, dell’acqua nel Museo Napoleonico. L’eccezionale marea veneziana ha colpito il cuore culturale della città e il danno non poteva che avere rilevanza mondiale. Ieri tutti i maggiori siti di informazione ne hanno dato notizia, con la Cnn che ha dato risalto alla «peggiore acqua alta degli ultimi 50 anni» e l’inglese Sun che è arrivato a parlare di situazione “apocalittica”, chiedendosi poi se Venezia non stia progressivamente affondando.

E Venezia ha rischiato davvero di affondare in maniera definitiva, sotto un’acqua arrivata a pochi centimetri dal record dell’alluvione del 1966. Non solo l’arte ha sofferto danni irreparabili, ma gli ospedali sono stati a lungo senza corrente elettrica. Venezia sott’acqua vuol dire ferire un incommensurabile patrimonio dell’umanità ma vuole anche dire danni enormi a una delle mete più visitate e amate d’Italia. Sotto l’acqua alta e il forte vento in queste ore ci sono anche interi piani di strutture ricettive e di ristorazione, caffè e locali storici, negozi di souvenir e di moda, che non hanno nemmeno l’elettricità per azionare le pompe e i sistemi anti incendio.
Ma Venezia - e l’Italia tutta - è affondata per davvero. Una volta per tutte. Mettiamoci, infatti, una forte dose di fatalità, in quanto è accaduto nelle ultime ore in laguna. Mettiamoci cioè l’imprevedibilità della natura: a una marea cattiva si è aggiunto uno scirocco pericoloso, con le sue raffiche fino a cento km all’ora, che ha gonfiato la laguna. Di fronte alla combinazione di questi elementi - assicurano i tecnici - c’è poco da fare. E l’acqua è entrata dappertutto: si è presa le calli, le piazze, i masegni. E l’arte di Venezia. Nelle prossime ore si conteranno i danni, che si annunciano gravissimi.

Ma non c’è solo questo. Venezia viene sommersa dall’acqua perché nessuno è stato in grado di difenderla. Da decenni, infatti, la politica si scontra sulla necessità di creare un sistema di difesa di uno dei gioielli dell’umanità. Il risultato? Un fiume di parole, malgoverno, tangenti, promesse non mantenute, ritardi.

Venezia affonda perché al genio della Serenissima - che ha creato un miracolo ingegneristico in una delle aree più difficili da gestire dal punto di vista ambientale e idraulico - hanno fatto seguito gli indegni dogi della politica contemporanea, che non sono stati capaci di preservare ciò che la storia ci ha consegnato in una forma così generosa.
Erano gli anni Ottanta quando si pensò alla realizzazione del Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico), un’opera composta da 78 paratoie mobili pensata per separare la laguna di Venezia dal mare Adriatico, scongiurando alluvioni durante l’alta marea. I lavori per la sua realizzazione sono cominciati nel 2003 e nel 2014 il Consorzio Venezia Nuova - concessionario del ministero delle Infrastrutture per la realizzazione dei lavori - è stato commissariato dallo Stato, dopo che un’inchiesta ha fatto emergere un lungo scambio di fondi illeciti: 35 arresti, 100 indagati tra politici di primo piano e funzionari pubblici, fondi neri, tangenti e false fatturazioni, un patteggiamento per l’ex potentissimo governatore Giancarlo Galan, che per quindici anni ha fatto il doge incontrastato all’ombra del leone di San Marco.

Da allora si sono succeduti diversi commissari e l’attuale governo ha annunciato che nei prossimi giorni ne verrà nominato un altro: la solita decisione assunta sulla spinta dei danni di queste ore, ma che ben difficilmente porterà a risultati concreti.

Il Mose finora è stato un pozzo infinito (il costo dell’opera sarà di quasi sette miliardi) e ha portato notizie dal comico al tragico: al momento non è possibile sapere quando le paratoie mobili entreranno in funzione (ultima data “sparata” Capodanno 2022), mentre il Gazzettino nei giorni scorsi ha dato la notizia che le cerniere del Mose, che avrebbero dovuto garantire un lavoro di 100 anni, dovranno essere riparate ancora prima di entrare in funzione. Poche settimane fa si è avuto un nuovo stop alla fase di test delle paratoie, avviata a luglio e che stava per concludersi in una data simbolica, quel 4 novembre che ricorda l’”Aqua granda” del 1966. Il sollevamento completo della barriera posata alla bocca di porto di Malamocco è stato però rinviato, dopo che erano emerse alcune vibrazioni nelle tubazioni delle linee di scarico. Il 4 novembre si dovevano quindi alzare le paratoie: non è accaduto nulla, e pochi giorni dopo ad alzarsi è stata invece l’acqua. E c’è di più: se il Mose entrerà in funzione, per gestirlo serviranno almeno cento milioni l’anno. Chi li metterà?

Insomma, in laguna la politica ha scritto una delle pagine più nere della recente storia italiana. E oggi restano i danni. Dolorosi. Dove la Serrata del Maggior Consiglio approvava le missioni espansive, i rapporti con la terra ferma e l’accoglienza dei Foresti, oggi ci sono gli insopportabili turisti che fanno selfie con l’acqua fino ai fianchi e sorridono, chissà poi perché.

E a noi, che viviamo a pochi chilometri di distanza e che abbiamo Venezia nel cuore (e guardiamo con superiorità a chi si sobbarca ore di volo per vedere le bellezze della laguna almeno una volta nella vita), non resta che soffrire di fronte alla natura che si ribella all’ignoranza e all’incapacità dell’uomo.

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