Coronavirus, basta mangiare animali

Coronavirus, basta mangiare animali

di Duccio Canestrini

Molto si parla di epidemie asiatiche, poco dei wet market, i “mercati bagnati” cinesi dove animali di ogni specie vengono venduti e macellati a richiesta, sul posto. I virologi spiegano che proprio i wet market come quello di Wuhan sono il primo bacino di contagio da Coronavirus. Siamo preoccupati per il nostro benessere, ma chi pensa a quello degli altri viventi?

Purtroppo ho visto con i miei occhi, anni fa in Cina, i mercati rionali all’aria aperta, dove tra teste di maiali gocciolanti e anatre appese a frollare si scorgono gabbie con pipistrelli, zibetti, serpenti, volpi e tartarughe. Per non dire dei cani. Legati o imprigionati come condannati nel braccio della morte, in attesa di essere ammazzati. E poi ci sono i “pezzi” venduti sciolti: testicoli di animali, pinne di squalo, a volte anche tranci di tigre. Animali cosiddetti non convenzionali, bracconati, contrabbandati in assenza di normative e di controlli.
Alle origini dell’allarme sanitario di Wuhan, aldilà della necessaria ricerca della specie “serbatoio”, e aldilà delle misure di contenimento del contagio, questa è la realtà dei fatti. E non è soltanto una questione di igiene, è una questione di evoluzione della nostra specie. Nonostante qualcuno propagandi gli improbabili benefici di una dieta carnea, non siamo più nel Paleolitico. Il nostro stile di vita è cambiato completamente, a maggior ragione con gli attuali assetti lavorativi: i cacciatori-raccoglitori di ieri sono diventati “colletti bianchi”. Con diverse rivoluzioni abbiamo cambiato l’ecosistema Terra, abbiamo fatto breccia nel Dna, il codice della vita, applichiamo la biomeccatronica, ci appassioniamo all’innovazione in tutti i campi. Possibile che a tavola si debbano divorare ancora animali? A questo punto è una questione di scelta, a mio giudizio poco sostenibile, non è più una determinazione antropologica. Anche perché le alternative non mancano.
Ma mettiamo che questo ragionamento sia opinabile o fasullo.

Mettiamo che mangiare frutta, ortaggi, legumi e cereali sia improponibile e per assurdo ci condanni, che so, all’atrofia muscolare (ma allora i tori e i gorilla, che sono vegetariani e fortissimi dovrebbero collassare); rimane in campo comunque un’argomentazione fondamentale, quella etica. Nella puntata di Radio3 Scienza del 28 gennaio scorso dedicata all’epidemia di Coronavirus la conduttrice chiede a un’esperta: «Come deve modificarsi il nostro rapporto con gli animali per contrastare questo fenomeno?». La risposta più semplice sarebbe smettere di considerarli cibo. L’esperta interpellata è la veterinaria bresciana Sara Platto che da sette anni abita in Cina dove insegna Comportamento e benessere animale, proprio all’Università Jianghan di Wuhan. «Ci sono due Cine», spiega, quella dei ricchi commercianti e quella dei giovani studenti.

I primi alimentano il mercato clandestino degli animali, disposti come sono a spendere forti somme per acquistare esemplari rari; mangiarli e regalarli per loro è una questione di status, di prestigio sociale: siccome sono ricco, mi permetto la zuppa di pangolino. I giovani, invece, come accade in tutto il mondo, grazie alla maggiore familiarità con i media e i social, sono più attenti e sensibili alle tematiche ecologiche. Dunque la richiesta di animali non convenzionali è un problema culturale, che affonda le radici in una (pessima) tradizione alimentare. Ma a ben vedere, anche i nostri animali da allevamento, suini, polli, bovini che mangiamo in quanto specie convenzionali, sono sfruttati e ridotti in schiavitù. Quelli allevati in famiglia, traditi. Quelli in libertà, nei boschi, ci temono. Chissà come mai.

Il nostro rapporto con gli altri animali in futuro probabilmente cambierà, così come si è modificato il rapporto che avevamo con i nostri simili, quando la schiavitù e il razzismo erano legali. Questo perlomeno era il pensiero del grande antropologo Claude Lévi-Strauss: «Il razzismo riflette su scala umana il problema più vasto dei rapporti fra l’uomo e le altre specie viventi. Perché il rispetto che intendiamo ottenere dall’uomo per i suoi congeneri è solo un caso particolare del rispetto che si dovrebbe sentire per tutte le forme di vita» (citazione tratta dal libro intitolato Lo sguardo da lontano). Benessere animale e benessere umano, siamo tutti nella stessa barca? Sì, ma come sulle galere romane: chi remava da schiavo, e chi frustava i rematori.

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