Il rinascimento delle Alpi

Il rinascimento delle Alpi

di Annibale Salsa

Dopo un lungo periodo di clausura forzata a causa dell’emergenza sanitaria, chi ama la montagna sente l’esigenza di allargare gli orizzonti fisici a lungo negati. La montagna, in questo senso, si rivela generosa nella sua capacità di soddisfare i nuovi bisogni di vita en plein air. Chi è maggiormente dotato di memoria visiva avrà rivisitato mentalmente, rivisto con occhi diversi, le forme dei luoghi a lui più familiari. La pratica del viaggiare non si identifica necessariamente con la fisicità dell’andare.

Spesso rinvia ad un’operazione della mente, ad una multiforme “categoria dello spirito”. Per queste motivazioni, legate all’odierna cultura della fretta, il viaggio si è impoverito con l’avanzare della modernità riducendosi a semplice spostamento meccanico. Nel tempo senza tempo del lockdown mi sono ricordato di aver letto in passato un libretto decisamente démodé dello scrittore savoiardo Xavier de Maistre.

Pubblicato in francese alla fine del Settecento a Torino, dove lo scrittore tradizionalista si era volontariamente ritirato in seguito all’occupazione napoleonica del Ducato di Savoia, lo scritto - pubblicato in italiano a inizio Ottocento e ristampato in anni recenti - aveva come titolo: «Viaggio intorno alla mia camera». Una provocazione intelligente quanto paradossale che sottolinea il valore evocativo dell’immaginario e, soprattutto, il piacere che la mente sa elargire quando il corpo non la sostiene del tutto. Lo spirito del viaggiatore è dunque salvo, lontano anni luce dal passeggero moderno, tanto assillato dalla meta da raggiungere il più rapidamente possibile quanto indifferente al percorso.

Ho spesso affrontato temi analoghi in rapporto a questa nostra società che mi piace definire: «società della morte del viaggio». Società dove tutti si spostano ma ben pochi viaggiano, con la mente o con il corpo. Mente e corpo sono, infatti, due facce della stessa medaglia, con buona pace di un ormai datato organicismo che voleva separarle. Tornando alla montagna si riparla finalmente di turismo di prossimità, dell’importanza di riscoprire luoghi e paesaggi fuori porta. Territori che, per troppo tempo, sono stati snobbati o etichettati come espressioni di una montagna minore. La crisi epocale che ci ha colpito duramente dovrebbe far riflettere su parecchi modelli obsoleti, da ripensare in forma radicale, uscendo dalle logiche dell’ovvio, di ciò che sembra acriticamente scontato. Una buona notizia - di cui ha già dato ampia diffusione «l’Adige» - è rappresentata dal recente riconoscimento, risalente al 18 Maggio scorso, degli Altipiani Cimbri quale decima «Perla delle Alpi».

Un territorio che, nell’anno 2013, avevo segnalato su questo giornale come interessante esempio di «terra di mezzo» dalle grandi potenzialità nell’ottica di un auspicato turismo di vicinanza. Natura e cultura sono qui ben rappresentate in un intreccio che unisce valori ambientali (boschi e spazi aperti prativi), valori storici (testimonianze del fronte della guerra), valori etnografici (isola linguistica attiva di Luserna con il suo Istituto Cimbro-Kulturinstitut), riferimenti alla cultura mitteleuropea (villeggiature di Sigmund Freud all’Hotel du Lac di Lavarone negli anni 1900 e 1906, ancora nel clima dell’«Austria felix» o, successivamente, nel 1923 in un contesto storico meno esaltante). Da segnalare anche la villeggiatura del padre della psicoanalisi italiana Cesare Musatti che conobbe personalmente Freud a Lavarone in quanto trascorreva l’estate presso la Locanda del Cacciatore a Serrada di Folgaria. La collocazione degli altipiani cimbri - strategico plateau orografico fra Valsugana a nord, Valdastico a sud, Sette Comuni ad est, Val Lagarina ad ovest - contrasta con quella visione di territorio marginale e periferico con cui sovente è stato percepito.

 La panoramica strada del «Menador» - la vecchia «Kaiserjägerstrasse» che collega l’altipiano con il bacino di Caldonazzo - costituisce un’opera di ardita ingegneria. Tuttavia, data la pericolosità del tracciato, non si può considerare un’infrastruttura di collegamento normale tra alta Valsugana e Monte Rovere. Nella prospettiva di miglioramento degli accessi, secondo una logica di mobilità dolce, perché allora non rilanciare l’idea, prospettata da tempo, di un collegamento a fune con Caldonazzo da pensarsi, però, non soltanto come infrastruttura ad uso turistico bensì come mezzo di pubblico trasporto in un sistema integrato sul modello svizzero? Lo scorso anno è stata avanzata, altresì, l’ardita proposta di un collegamento a fune con la città di Rovereto che, per la lunghezza del percorso, appare piuttosto ambiziosa anche se sicuramente interessante. Gli altipiani cimbri sono in grado, infatti, di soddisfare l’offerta più ampia in un’ottica di piena sostenibilità ambientale. Qui lo sci alpino del comprensorio di Folgaria convive, senza contrasti paesaggistici, con lo sci nordico di Passo Coe e di malga Millegrobbe, l’escursionismo di media montagna con il cicloturismo, il turismo culturale con quello balneare del lago di Lavarone. Il tutto in una prospettiva destagionalizzata fra le ondulate distese bianche dell’inverno ed il policromo «foliage» delle faggete autunnali. Non resta, a questo punto, che trarre la grande lezione che ci è pervenuta dall’esperienza del Covid-19 e guardare, fiduciosi e convinti, ad un nuovo autentico «esotismo di prossimità».

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