Il Covid-19 e la guerra tra bande

Il Covid-19 e la guerra tra bande

di Leonardo Pontalti

Parteggiare. È uno dei mali peggiori emersi in questi mesi: tifare, di un tifo cattivo, fatto più che altro dell'accanirsi contro quella che si ritiene la parte avversa. In tanti cercano di dare sfogo alle loro paure, alle loro frustrazioni, identificando un nemico.

Il governo. Gli statali (o i provinciali). I virologi. I runner. Gli aperitivi. A volte inventandoselo pure, il nemico: Big Pharma. Bill Gates. Perfino da Radio Maria qualche giorno fa hanno detto la loro in merito, sul virus come complotto globale.
Adesso è la volta dello sci. In tanti, in troppi si stanno mettendo a tifare. Di nuovo. Sui social non mancano i post in cui le squadre in campo sono belle e schierate. Sciatori e impiantisti da un lato, morti, medici e infermieri dall'altro.
Li si piazza sul terreno dello scontro per sostenere la propria ricetta, quella della propria "convinzione del cuore" per cui parteggiare osteggiando tutte le altre.
«Con tutti questi morti, c'è chi si lamenta per una mancata sciata». Una summa di livore e superficialità.
Vedremo se dal 7 gennaio partirà la stagione o se la data è stata indicata solo come feticcio per quietare le acque. E si vedrà solo tra parecchi mesi quali saranno state le conseguenze dello stop.
Ma il punto non è lo sci. È la montagna in inverno, che per i territori alpini (ma non solo) vuol dire un pezzo importante della loro economia. Secondo un modello di sviluppo giusto? Sbagliato? Attuale? Superato? Non è questo il punto, ora, anche se - giustamente - c'è chi si sta interrogando sulla possibilità che la pandemia offra l'occasione per pensare davvero a un'economia della montagna post-impiantistica e maggiormente sostenibile. 

Ma la questione, in questi giorni, è un'altra. Una questione di approccio, di comune sentire che latita. In troppi tifano e basta, senza andare oltre la superficie. Senza comprendere che il problema non è "lo sci". È, invece, l'addetto stagionale alla seggiovia, il gattista, il maestro, il noleggiatore, il cameriere, il commesso del negozio della località in quota. È il loro lavoro che verrà meno.
Decisioni, difficili e delicate come non mai viste le diverse e contrastanti esigenze in ballo (un po' il fil rouge di tutta la pandemia: salute o lavoro?) e ricerca delle relative soluzioni, vanno lasciate a chi ha le competenze - tecniche e scientifiche - per proporle e il mandato - elettorale - per attuarle. 

La gran parte degli stessi addetti ai lavori ha da tempo compreso come potesse essere pressoché impossibile partire normalmente. Perché da mesi gran parte di ciò che era (e si auspica tornerà ad essere) normalità rappresenta un rischio. Dal punto di vista del contagio, ma anche della gestione delle criticità: solo nella scorsa stagione invernale il nucleo elicotteri dei vigili del fuoco permanenti ha effettuato 211 interventi per incidenti in pista e il presidente dei medici Marco Ioppi ha sottolineato come l'infortunistica invernale potrebbe rappresentare la goccia nel vaso già stracolmo delle strutture ospedaliere. 

Al di là della complessità della questione, insomma, è sull'approccio semplicistico e aggressivo di tanti, che si vuole proporre una riflessione. Quello che tocca osservare è come in tantissime persone, al di là delle legittime opinioni - ormai espresse un po' su tutto da parte di tutti - manchino l'empatia o la capacità di riflettere, fagocitata e annullata dalla smania di schierarsi. Si tifa, senza capire che non vi sono parti distinte, per le quali schierarsi.
Senza comprendere che la realtà è una sola e deve preoccupare tutti noi, per l'oggi, il domani e il dopodomani. Perché gli introiti dell'impiantista, dell'albergatore - così come degli addetti di settori come agenzie di viaggio, spettacolo, associazioni per ragazzi e tutte quelle maggiormente colpite dalla pandemia - garantiscono stipendi e investimenti. E, neanche tanto in fondo, sono anche soldi nostri. 

Sono denaro che torna sul territorio. E che, attraverso le tasse, rappresenta una bella fetta dei fondi che poi servono per pagare gli infermieri, mantenere efficienti gli ospedali, garantire servizi.
I problemi sono tanti, tantissimi e delicati. Oggi riguardano i reparti saturi. Domani, quando si dovranno pianificare gli stanziamenti pubblici con risorse che non ci saranno, potrebbe riguardare una sanità, una scuola, un'amministrazione senza fondi a disposizione. Insomma, l'inverno turistico e i medici allo stremo che in tanti vorrebbero contrapporre, sono solo due facce di una stessa medaglia. 
Trovare soluzioni è complicato, ma qualcosa possiamo iniziare a farlo tutti: lasciare da parte il tifo ed essere - o almeno mostrarci - più uniti. Perché alla fine, piaccia o no, la squadra in campo è una sola: la nostra.

comments powered by Disqus