Il fenomeno Aquila Basket non è un miracolo

di Guido Pasqualini

Le lacrime di frustrazione a stento trattenute da «Dada» Pascolo a fine gara 5 raccontano alla perfezione l’impresa della Dolomiti Energia, proiettata in una finale scudetto impensabile non soltanto a metà campionato, quando l’Aquila era fuori addirittura dai playoff, ma anche a inizio di questa serie dominata contro Milano.

Certo, c’erano motivi economici alla base della scelta del ragazzo di Coseano, diventato uomo a Trento. Ma c’era pure la speranza, fors’anche la certezza, di conquistare per la prima volta un titolo tricolore. A giocarselo, invece, saranno i suoi ex compagni, da «capitan Coraggio» Toto Forray al «baby fenomeno» Diego Flaccadori, dal «gigante buono» Luca Lechthaler a «Superman» Dominique Sutton.

Davide ha battuto Golia. Verrebbe da parlare di miracolo. Non si può, perché l’evento sarebbe di quelli inattesi. Invece no, perché all’Aquila Basket da sempre la regola aurea è quella della programmazione. E questa finale scudetto forse è arrivata in anticipo sui tempi previsti, ma nella testa della dirigenza e dello staff tecnico l’idea c’era, eccome se c’era. Lo disse lo stesso coach Buscaglia in un’intervista al nostro giornale alla vigilia di Natale 2014. Se la immagina la Dolomiti Energia che lotta per lo scudetto? «Certo che me la immagino - rispose -. Tenere i piedi per terra non è mancanza di ambizione. I giocatori che sono approdati a Trento, sono venuti qui per vincere. E l’allenatore che viene a Trento, viene per vincere».

Ciò che forse Buscaglia manco sognava era di arrivare in finale dopo aver eliminato nei quarti e in semifinale i campioni italiani uscenti e quelli dell’anno precedente, dopo aver vinto sette partite e averne persa soltanto una, dopo aver dominato tutti i match disputati fuori casa, potendo disporre di otto-giocatori-otto.

Così Trento, nei giorni scorsi al centro dell’attenzione mediatica nazionale per il Festival dell’Economia, si ritrova capitale degli sport di squadra. Due finali scudetto in discipline seconde, quanto a diffusione e notorietà, soltanto al calcio, sono un fiore all’occhiello per la nostra provincia. Tra volley e basket si è attivato un circuito virtuoso, una concorrenza benefica, che ha portato a risultati incredibili, frutto di dedizione, serietà, impegno, professionalità e organizzazione. «Io credo nella cultura del lavoro», è il mantra del general manager Salvatore Trainotti, che l’Aquila l’ha guidata prima in panchina e poi dietro a una scrivania.

Tutto vero. Emblematico l’omaggio «social» di Casale, squadra che Trento affrontò in A2: «All’Aquila Basket, al suo primo viaggio in quella Legadue, pulsava già un approccio diverso da tanti altri: affascinante e strutturato, solido e terribilmente efficace. Vincemmo allo scadere, con una piroetta di Malaventura, ma ce ne andammo tutti con una convinzione: lì a Trento stava succedendo qualcosa di grande».

Qualcosa di grande è accaduto, ora si attende l’immenso. La forma c’è, la compattezza di squadra di più, la fame dei giocatori è pazzesca. L’occasione è unica, vincere si può. Meglio, a questo punto si deve.

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