Franco Arminio con il ZDL Trio giovedì 9 luglio al Teatro Capovolto di Trento

di Fabio De Santi

“In un tempo in cui si parla di distanziamento dagli altri, bisogna procurarsi un distanziamento da se stessi, incarnarsi veramente nell'aria del mondo, essere soci della luce, mettersi al servizio delle cose. La nostra vocazione non è la cattura. Siamo animali di premura". Attraverso queste parole si comprende lo spirito che anima il poeta e paesaggista Franco Arminio che il 9 luglio sarà a Trento per uno spettacolo tra parole e musica nell'arena del Teatro Capovolto. Un'occasione per sentire la voce di Franco Arminio, di cui il 22 luglio Bompiani pubblica la nuova, attesa, fatica letteraria,  diventato un saldo punto di riferimento per i molti lettori che hanno dialogato con lui a distanza anche durante giorni più duri di quel lockdown da cui ha preso le mosse la nostra intervista.

Arminio, come ha vissuto il periodo della quarantena, del distanziamento che per mesi ha segnato anche l'Italia?

<L'ho trascorso al mio paese, Bisaccia nel Sannio, in modo relativamente normale, ho lavorato ed ho fatto una sorta di servizio civile rispondendo alle chiamate delle persone che mi chiamavano, spesso turbate, per quella situazione inedita. Ogni tanto uscivo, anche senza mascherina lo confesso, perché nel centro antico dove vivo, non c’era nessuno, e i pochi che c'erano non uscivano. E’ stato comunque un momento doloroso perché ero preoccupato per quello che accadeva>.

Il suo nome si è imposto all'attenzione delle cronache in quel periodo anche per l'improbabile intervista al Coronavirus?

<Mi piaceva immaginare qualcosa che ci facesse mettere dalla parte del virus che non abbiamo neanche il modo di classificare, in un certo senso: non è del mondo animale, del mondo naturale, viene da un universo a parte ed ha fermato il mondo. L'invisibile ha fermato il mondo. Abbiamo parlato molte volte dell'atomica, un grande pericolo che però si vede, è un oggetto fisico. Il virus è invisibile ed ha fermato il mondo e quindi mi sembrava giusto “ascoltare le sue ragioni”.  Anche Dio, se vogliamo, è un oggetto mentale, il virus invece è un po’ diverso, grazie alla scienza lo riesci a vedere, a capire quello che fa. Si parlava poco, però, del punto di vista di questa creatura che alla fine fa il suo lavoro: entra in corpo per vivere, è la bizzarria della natura>.

Fra pochi gionri uscirà il suo nuovo libro "La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica": cosa racchiude?

<E’ un volume di prose inframmezzate da versi, ci pensavo da molti anni. Volevo fosse come un armadietto farmaceutico che uno si porta dietro, infatti molte persone che mi hanno contattato mi dicevano “io mi curo leggendo”. Mi sono accorto che c’era questo effetto consolante nella mia poesia, fatto di cui, fino a qualche anno fa non ero consapevole, quindi ho pensato di formalizzare in queste pagine tutto questo. E’ un libro anche molto intimo, io parlo della mia ferita con un invito implicito agli altri a parlare delle loro ferite. Nel libro c’è un testo che si chiama “Via Virus “dove immagino arrivi un virus nel mondo che fa rinascere le persone appena morte con tutto il panico che si crea>.

In un passaggio del libro lei invita a "fare comunità, per dare coraggio al bene”.

<Oggi la comunità si è sgretolata, forse l'unica che resta è la comunità della famiglia e anche quella appare molto debole. Abbiamo visto come sono fragili le comunità politiche, io penso che oggi nessuno senta l'appartenenza ad un partito come accadeva cinquant’anni fa. Nelle città, nei quartieri, esistono amicizie, relazioni belle ma non esiste quella cosa che chiamiamo comunità: uno quando va via da Trento o da Bisaccia, va via dalla sua casa non dal proprio paese. Questa è la mia sensazione. Io credo che l'uomo abbia bisogno di appartenere. Io credo che i momenti di benessere di un individuo siano legati alla condivisione, noi siamo un animale costruito per condividere e la società che abbiamo costruito ti dà l’impressione che tu devi fare la tua corsa da solo, devi acquisire la felicità ed il successo, il benessere materiale quasi a discapito degli altri. Una distorsione che fa torto alla natura umana, al nostro bisogno di condividere>.

Da sempre un suo cavallo di battaglia è quello della difesa dei piccoli paesi, dei piccoli borghi dell'Italia interna i vittima dello spopolamento: come vanno le cose su questo fronte?

<Oggi appare evidente come anche il Covid - 19 abbia rimesso in discussione il modello urbano della grande città come Milano, New York, Madrid rispetto al borgo in cui c'è tanto spazio e il distanziamento è naturale. A questo dovrebbe seguire un ragionamento su un sistema produttivo rivolto ai piccoli paesi, al lavora da casa, alle attività all'aperto. In Italia a parte Milano, Venezia e Bari non c’è nessuna area metropolitana che non sia a ridosso delle montagne, ma nonostante questa evidenza noi abbiamo tutto centrato sulla pianura in una orografia che invece di pianure ne ha poche e quindi trascuriamo una parte di territorio enorme. Questo è davvero un errore prospettico clamoroso che viene da lontano, è il dramma della rimozione della geografia di cui stiamo pagando da anni le conseguenze>.

Trento l'aspetta fra pochi giorni per una serata che intreccerà la sua voce con la musica: cosa ci può anticipare?

<Posso dire che non ci sarà nulla di preconfezionato, perché in queste occasioni mi piace sempre leggere cose diverse in quello che più che uno spettacolo mi piace definire come una presenza. Con i tre musicisti che saranno al mio fianco, Vincenzo Zitello, Daniele Di Bonaventura e Carlo La Manna, non abbiamo concordato nulla. Mi piace l’idea che loro partano con i loro pezzi mentre io impressivo. Il mio umore lo adeguo a quello che sento nell'aria, credo molto nei momenti unici ed irripetibili, credo che il pathos si crei e si trasmetta solo laddove non ci sia mestiere e ripetizione>.

 

 



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