L'umanità, dolore e bellezza A Palazzo Trentini sculture e dipinti di Cirillo Grott

di Daniele Benfanti

Scultore, pittore, disegnatore ma anche poeta e musicista (appassionato di chitarra). Cirillo Grott rivive in una mostra che gli dedica il Consiglio provinciale. Una settantina di opere scultoree e pittoriche dell’artista di Guardia di Folgaria troveranno spazio, da venerdì 14 febbraio (l’inaugurazione alle 18) al 7 marzo a Palazzo Trentini (visite con orario 9.30-18.30 dal lunedì al venerdì e 8.30-12 il sabato). Grott30 il sintetico titolo dell’esposizione, curata da Tiziana Gazzini.

Trenta come gli anni passati da quando Grott è mancato, nel febbraio 1990, a soli 53 anni. Trenta come gli anni della sua carriera, che ha abbracciato tre decenni, dal 1960 al 1990. Trent’anni in cui Cirillo Grott (battezzato con il nome del nonno) ha raffigurato e dato forma espressiva a quello che lui riteneva il senso dell’arte, cioè rappresentare la vita. Con i suoi chiari e scuri.

Con una apparente compostezza classica e atemporale che nelle sue figure si tramuta sempre in uno scatto di espressionismo. Figure serenamente dolenti, volti e corpi dalla grande umanità e dal senso di pace, perché per Grott «l’arte è la massima espressione dell’umanità. Non si può fare arte con animo agguerrito».
E infatti la mostra di Palazzo Trentini abbraccerà l’arte di Cirillo Grott con una doppia sezione complementare: «Una stagione all’inferno» il titolo di quella ospitata nei locali seminterrati; «Le stagioni della bellezza e della speranza» nelle sale superiori. E così il percorso di visita comincerà con le opere, quadri e sculture, dedicati alla violenza e alla guerra.

Alessandra (Sandra) Frisinghelli ha conosciuto Cirillo Grott a una mostra d’arte a Rovereto nel 1964 e nel 1967 lo ha sposato: «Quello che colpisce dell’arte di mio marito – racconta – è la sua attualità. Gli artisti, d’altra parte, sono sempre avanti. Con me parlava molto dell’attualità, della vita. L’uomo e la natura sono sempre state le sue fonti di ispirazione. È sempre stato molto impegnato. Per lui l’arte era espressione di sé, lavoro, tempo libero: tutto. Sempre curiosissimo, ha sempre sentito di avere poco tempo. Infatti ha prodotto tantissimo».
L’attualità di Cirillo Grott è nei titoli di alcune sue opere in mostra da venerdì: «L’ultimo sacrificio del partigiano», un bronzo del 1970, il «Dramma di Longarone» (una statua), «La Guerra» (olio su tela), «L’eccidio di Malga Zonta» (un bassorilievo in bronzo), la «Madre del Vietnam», «L’esplosione nucleare» (tecnica mista su carta). Mentre nella sezione dedicata a bellezza e speranza troveremo «Il bacio» del 1967 (in legno di prugno), l’albero della vita in larice, la Maternità (quadro del 1979), gli Amanti, la famiglia migrante, il ritratto a china della moglie Sandra, che realizzò con la mano sinistra nel 1980, quando aveva un braccio ingessato.

Inscindibile dall’opera di Grott il suo ancestrale amore per la piccola frazione di Folgaria, Guardia, in cui era nato. Solo 60 abitanti, sguardi aperti sulle montagne e sulla valle dietro Castel Beseno.
«Lavorava molto all’aperto – ricorda la moglie Sandra – e si metteva il banco nel cortile, per vedere il paesaggio. Scolpiva anche d’inverno, sotto la neve, con dieci gradi sottozero. Poi girava il mondo e non era mai solo. Gli chiedevano “Ma come fai a vivere di arte?”. In un mondo senza internet, senza manager, ci è riuscito. Una sua opera è stata donata alla vedova di Martin Luther King. Suoi lavori sono nei musei, nelle raccolte d’arte di banche e assicurazioni. Ancora oggi ci chiedono di comprare sue opere collezionisti tedeschi e persino dall’Islanda».

Una scultura di pura sottrazione alla materia, la sua. Una pittura che il critico Maurizio Scudiero ha definito «cruda e sgranata». Grott amava la poesia del legno, preferibilmente tronchi interi, di larice, melo, pero, cirmolo, noce, carpino. Ma anche la poesia fatta di parole. «L’ultimo abbraccio» è l’ultima opera di Grott, di inizio 1990. Alta 2 metri e 20, in legno di melo. Grott anche le poesie le scriveva a mano, su taccuini, mentre viaggiava. La moglie Sandra le ha poi riordinate, titolate e pubblicate. Per una delle ultime del marito, ha scelto il titolo «Preghiera». Quasi un congedo dell’artista: «Lasciami dormire in un sonno profondo, al di là delle pietre scavate dall’ultimo uragano. Già molte siepi si sono divelte, nel vento della storia».

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