Fascismo, un passato che non passa

di Fabrizio Franchi

Parafrasando il titolo di un vecchio libro potremmo, dire «Fascismo, il passato che non passa».

È quello che ci racconta lo storico trentino Francesco Filippi nel suo nuovo libro uscito la settimana scorsa per Bollati Boringhieri, Perché siamo ancora fascisti? . Il libro sarà presentato domani online alle ore 19 sulle pagine Facebook della Libreria Arcadia di Rovereto e della casa editrice, dialogando con Giorgio Gizzi. Invece in presenza lo storico dialogherà con i suoi lettori il pomeriggio di sabato 20 giugno al Parco delle terme di Levico in un incontro organizzato dalla Piccola Libreria di Lisa Orlandi.
Filippi, sull'onda del suo bellissimo e fortunato libro - editorialmente parlando - «Mussolini ha fatto anche cose buone», torna su un nodo fondamentale della nostra storia ponendosi una domanda fondamentale a distanza di 75 anni dalla morte del fondatore, Benito Mussolini e dalla caduta della dittatura fascista. Nel 1987 Gian Enrico Rusconi curava un libro che segnerà un momento notevole nella riflessione sui crimini nazisti. Era appunto «Germania, un passato che non passa», un libro a più voci di molti intellettuali impegnati anche su fronti diversi, ma che affrontavano un tema cruciale che riguardava anche la "colpa collettiva di un popolo" nei confronti del popolo ebraico.

Il senso del libro del giovane storico della mentalità è quello di indagare i motivi per cui dopo tanti anni l'opinione pubblica italiana è disposta a minimizzare i crimini fascisti, per ignoranza o per indifferenza. È inquietante, secondo Filippi, come 75 anni dopo il disastro di un regime che ci ha portato in guerra, creando lutti, discriminazioni, carcerazioni, siamo ancora disponibili a lasciare spazio al razzismo e quindi a lasciare aperta la porta ancora una volta alle conseguenze nefaste di queste posizioni. Non a caso Filippi nel suo libro parte dalla situazione tedesca, diversa ma simile da quella italiana. Del resto Adolf Hitler, come ricorda Filippi, guardava a Benito Mussolini come a un precursore, a una guida, un maestro, nella battaglia per il potere. Certi luoghi comuni che in questi anni sono circolati nel dibattito pubblico sulla presunta diversità e umanità di Mussolini, Filippi li ha già smantellati nel suo vendutissimo libro «Mussolini ha anche fatto cose buone». Un mirabile esempio di fact checking storico che non a caso è stato tra i volumi più venduti in Italia nell'ultimo anno, anch'esso edito dalla torinese Bollati Boringhieri.
Il nuovo libro di Filippi indaga il dibattito pubblico successivo alla caduta del fascismo e individua alcune motivazioni che hanno portato gli italiani a rimuovere i crimini e le colpe dei fascisti. Molto peso ha avuto anche una certa retorica, funzionale in fin dei conti a tutte le parti politiche, degli "italiani brava gente". Una narrazione che ci tramandiamo come un mantra, ma non è supportata dalla realtà storica.

Quella di Filippi è una domanda provocatoria, certo. Ma, come spiega in chiusura del suo libro «la risposta alla provocatoria domanda "ma perché siamo ancora fascisti?" passa proprio attraverso lo sviluppo di un racconto pubblico che è stato prima autoassolutorio e poi relativizzante: italiani mai convintamente fascisti prima; italiani che hanno combattuto per degli ideali, siano essi fascisti o antifascisti, poi. Il tutto proiettato in un passato che, allontanandosi sempre più, appiattisce e uniforma ogni cosa».

Perché quindi siamo ancora fascisti o, meglio, perché non siamo convintamente antifascisti?, si chiede retoricamente Filippi. «Perché in questi anni, nel tentativo di mantenere pulita la memoria del paese, non abbiamo affrontato con determinazione i crimini che il fascismo ha commesso anche grazie alla connivenza degli italiani e quindi oggi, per molti, dato che non si conoscono i delitti del fascismo, pare quasi che il fascismo di delitti non ne abbia commessi. Perché in questi anni non siamo riusciti ad affrontare con decisione e chiarezza i demoni di un passato che abbiamo troppo velocemente coperto ma non cancellato, togliendoci la possibilità di accumulare le conoscenze e le attenzioni necessarie a impedire che i fenomeni di erosione democratica che aprono la strada ai regimi autoritari vengano subito riconosciuti e neutralizzati». Non solo. «Perché, infine, una parte minima della società italiana non ha mai voluto essere altro, un'altra parte non ha mai imparato a essere altro, e infine perché una parte della nostra società, probabilmente la più consistente, non si è mai nemmeno posta seriamente la domanda, rimanendo indifferente». Ma Filippi una speranza ce l'ha. Da una parte la letteratura sta cominciando a fare i conti con quel passato inserendo nel dibattito pubblico elementi importanti, si veda «M», il libro di Antonio Scurati, dall'altra i giovani che lui segue con l'associazione Deina, impegnata a fare conoscere la tragedia dei lager: quei ragazzi sono «la risposta più bella, pura e forte alle domande che la storia continua a porre».

Francesco Filippi, «Ma perché siamo
ancora fascisti?», Bollati Boringhieri, 256 pagine, 12 euro

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