Sandro Campani, vedere oltre la nebbia

di Andrea Nicolussi Golo

Che cosa fa di una persona che pubblica dei libri uno scrittore? Lo ammetto è una domanda piuttosto maliziosa che apre la porta a mille e millanta risposte, io ho la mia.
Alcuni credono, un po’arbitrariamente, che la differenza tra una persona che pubblica semplicemente dei libri e uno scrittore stia tutta nell’importanza dell’editore con il quale si pubblica, magari anche il prestigio della collana, per cui pubblicare con Einaudi nella collana Supercoralli si potrebbe supporre sia già di per sé ragione sufficiente per distinguere uno scrittore da una persona che ha semplicemente pubblicato dei libri. Spesso è così ma non sempre, ci sono autori che hanno pubblicato con editori importanti ma mai e poi mai mi sognerei di dire che siano degli scrittori. Altri, invece, per dare la loro risposta si affidano alle vendite, se un autore vende tante copie e magari si mantiene (raro caso) con i profitti dei suoi libri allora è senz’altro uno scrittore; è una buona ipotesi ma non mi soddisfa del tutto, la vendita di un libro è legata a fattori spesso imperscrutabili.

Allora? Per me la differenza sta tutta nello sguardo, uno scrittore vede quello che noi non vediamo e lo vede prima e meglio e ce lo mostra chiaramente sulla pagina, con onestà e senza trucchi.
Sandro Campani ha pubblicato i suoi due ultimi romanzi, Il giro del miele e il recente I passi nel bosco, con Einaudi nella collana Supercoralli, ma non è certo solo per questo che Sandro Campani è uno scrittore autentico, lo è perché i suoi occhi sono quelli di uno scrittore, lui vede quello che c’è oltre la nebbia del quotidiano, Campani è uno scrittore perché non usa trucchi di nessun genere, il suo scrivere è onesto tanto da far male.

C’è, nei libri di Campani, quella terra di mezzo senza nome, appesa tra la pianura e la montagna senza epos apparente, una terra che non ha mai avuto grandi cantori, perché se non sei bravo per davvero da quei greppi non riusciresti mai a cavarci una storia degna di essere scritta, Campani invece ci riesce e lo fa con la bravura di chi non si accontenta di guardare, ma si ferma e vede e sa, vede e sa chi passa e chi è passato e vede chi passerà, vede e riconosce le vite che scivolano senza rumore, tra un bar, una pizzeria, il bordo di un lago e il bosco. Già, il bosco, il bosco di Campani non è quello di Rigoni Stern, alto e solenne come una cattedrale e neppure quello di Buzzati, denso di fascino e meraviglia, è un bosco marginale, inselvatichito più che selvaggio, bosco da cinghiali più che da urogalli, un bosco spettinato come chi non ha troppo tempo per prendersi cura di sé. Dentro il bosco sono i passi degli assenti a lasciare l’impronta più nitida.
Dentro il bosco ci sono i passi di Fausto morto in un incidente stradale, ci sono i suoi passi perché suo era il bosco e suo è rimasto, è “il bosco di Fausto”. Dentro il bosco ci sono i passi di Cate che, come tanti, se ne è andata via, perché da qualche parte una vita più normale dovrà pur esserci, ci sono i passi di Danielone che avrebbe potuto fare il ciclista o chissà che altro, Danielone che è il paradigma delle innumerevoli vite perdute da tutti noi e poi ci sono i passi di Luchino. Tutti i protagonisti, presenti e assenti, ruotano attorno alla figurina che nessuno trova, eppure si sa che qualcuno deve averla la figurina mancante e allora si trama a mezza voce e si mercanteggia per averla in collezione. Luchino, cercato da tutti, è un Godot con il talento dell’incantatore di serpenti ma ignaro e indolente, spirito segreto e inafferrabile di quel mondo sospeso tra una arcaicità perduta e un moderno che è già modernariato. È Luisa, anima dolente, che più di ogni altro racconta le persone e i luoghi, Luisa dall’alto della coffa del suo bar tutto vede e sente e tutto comprende, ma lo serba in sé, Luisa come il bosco serba le voci e passi di tutti, presenti e assenti, come il bosco Luisa è protagonista e testimone di un mondo.
È un intero mondo, infatti, quello che compare nei libri di Campani, lui fa di quella parte di Appennino quello che Pavese ha fatto delle sue Langhe, raccontandola la crea per noi.

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