Ricordo poetico di Ulivi Eroe partigiano, autore della famosa «Lettera»

Un fortunato libro di Donatella Bisutti, «La poesia salva la vita» (Mondadori, 1992), si apre con una breve nota di Attilio Bertolucci che per avvalorare l'idea di come la poesia possa essere necessaria «malgrado la sua apparente inutilità» fa ricorso a un suo doloroso e incancellabile ricordo. Il poeta racconta che alla fine di aprile del 1945 la madre di Giacomo Ulivi (nella foto) , un giovane partigiano che poco più di cinque mesi prima era stato fucilato dalle SS di Salò, volle vederlo per consegnarli («ero stato a lui il professore più caro, lui essendo stato il mio scolaro più caro») uno straccetto di carta lasciato dal figlio. Su quel foglietto spiegazzato il ragazzo aveva appuntato a memoria i versi di una lirica del suo professore di liceo, compresa nella raccolta «Fuochi di novembre» (1934), affidandolo poi ad un compagno di cella poche ore prima di essere condotto davanti al plotone di esecuzione.

«Così la poesia – questa la conclusione del poeta – se non gli aveva salvata la vita, gli era stata vicina nel suo avviarsi, diciannovenne, alla morte. Chi era Giacomo Ulivi? Nato in una frazione di Parma, il 29/10/1925, aveva compiuto gli studi elementari e ginnasiali nella città natale iscrivendosi poi al Liceo Classico «Maria Luigia» dove conseguì brillantemente la maturità nel 1942. Iscrittosi alla Facoltà di Legge dopo l'8 settembre 1943 aderì attivamente alla Resistenza. Dal febbraio 1944 fu incaricato di tenere i collegamenti fra il CLN di Parma e Carrara nonché tra i partigiani e gli ufficiali inglesi. Si occupò inoltre della diffusione della stampa clandestina e dell'organizzazione dei giovani renitenti alla leva per aiutarli a raggiungere le formazioni partigiane sull'Appennino tosco-emiliano. Catturato la prima volta l'11 marzo 1944, riuscì a fuggire e a riprendere la sua attività di resistente a Modena.

Qui venne arrestato di nuovo e nuovamente riuscì ad evadere. Catturato una terza volta il 30 ottobre 1944, ad opera dei militi delle Brigate Nere, fu condotto nel carcere dell'Accademia Militare, dove pur sottoposto a ripetute torture non rivelò mai nulla. Infine il 10 novembre 1944 fu fucilato sulla Piazza Grande di Modena insieme ad Alfonso Piazza ed Emilio Po. Alla sua memoria è stata assegnata la medaglia d'argento al valore militare. Modena lo ricorda, insieme agli altri due antifascisti, con una lapide apposta nel novembre 1948. A Parma uno dei licei scientifici della città porta il suo nome. Di lui ci rimangono poche lettere alla madre e ad alcuni amici. Tra queste ultime, ne emerge una non spedita che fu ritrovata in casa, dopo la sua morte, tra le pagine di un libro.

Scritta nel periodo tra il primo e il secondo arresto, è stata letta, a buona ragione, come una sorta di testamento politico e spirituale. In essa rivolgendosi direttamente agli amici, dopo aver compiuto una acuta analisi delle responsabilità morali, individuali e collettive, che avevano consentito al fascismo di prendere il potere, li invita, con energia, a occuparsi della cosa pubblica («Credetemi, la cosa pubblica è noi stessi […], la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente come sarebbe successo questo?»); a non abbattersi a non cedere («No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. […]. Avete mai pensato che nei prossimi anni si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere: che nostra sarà la responsabilità se andremo incontro a un pericolo negativo? Bisognerà fare molto»); a lottare pensando anche la futuro:

«Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere di noi tutti. Ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi [la vita civile, la forma della democrazia, n.d.r.] in modo duraturo e che eviti il risorgere di essi e il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi».
Il testo della lettera di Giacomo Ulivi è stato riprodotto integralmente nelle «Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana» e nelle «Lettere di condannati a morte della Resistenza europea» usciti entrambi da Einaudi rispettivamente nel 1952 e 1954. Attilio Bertolucci ha fissato il suo ricordo commosso in questi versi intitolati 1945: «È giunta la notizia della tua morte / nei giorni delle bandiere spiegate, / nei caldi giorni di un maggio cittadino / in festa al suono d'antiche fanfare. // Non sapevamo più nulla di te … / Ora sei tornato nel pallore / della tua passione, la morte / non può vincere la tua giovinezza tenace» (A. Bertolucci, Le poesie, Garzanti, 2001, pag.401).

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