Sabato la Banda Osiris con le «Dolenti note» live a Castel Thun

di Fabio De Santi

Un pazzo viaggio teatral-musicale sul mestiere stesso del musicista, un manuale alla rovescia ricco di provocatori consigli su come vivere e sopravvivere nel mondo delle sette note in questo terzo millennio. È quello proposto dalla Banda Osiris in Le dolenti note in scena sabato, alle 15.30 nella cornice di Castel Thun in Val di Non, per il Festival dei Castelli trentini.

Sandro Berti, Gianluigi Carlone, Roberto Carlone e Giancarlo Macrì sono pronti a travolgere il pubblico con quel ritmo vorticoso, fra musica e parole, diventato il marchio di fabbrica. Obiettivo primo, ce lo racconta Macrì, divertire, divertirsi e resistere con la musica anche in questo difficile momento.

Macrì, che effetto vi fa l’idea di suonare negli spazi di un antico castello trentino?
«Ci fa piacere calarci in certe ambientazioni come accadrà sabato a Castel Thun. Ci trasformeremo in improbabili maghi per parlare di musica e raccontare la magia, gli incantesimi e le emozioni che essa ci puo trasmettere. E chissà quanta musica si è suonata ed ascoltata attraverso i secoli in un luogo antico come quello».

Cosa racchiude un titolo come “Le dolenti note”?
«In questo spettacolo vogliamo mettere in guardia chi volesse affrontare una professione come quella del musicista. Non è facile esserlo e non è facile vivere facendo i musicisti soprattutto negli ultimi anni in cui l’offerta si restringe a fronte dell’aumento del numero di chi si cimenta in questo settore».

So che l’avete definito come una sorta di “tutorial” contro i musicisti fai da te.
«Il nostro obiettivo - sottolinea divertito - è quello di dissuadere i giovani a diventare musicisti per evitare che ci rubino il poco lavoro rimasto. Oltre l’ironia va detto che oggi, rispetto a quando abbiamo iniziato noi trent’anni fa, è più difficile sopravvivere suonando. Un tempo magari riuscivi ad esibirti nei club ricevendo anche un compenso degno mentre ora siamo in una jungla: ti tocca anche portare l’amplificazione e in pratica paghi per suonare».

Ma quale consiglio si sente di dare a questi “poveri” ragazzi che si appassionano a qualche strumento magari con l’obiettivo di creare una nuova Banda Osiris?
«Avere consapevolezza di quello che fanno, al di là che si parli di musica jazz, classica, pop o rock, e non avere mai quella fretta che caratterizza oggi il mondo della musica. Bisogna crescere passo dopo passo, maturare e non è facile in un sistema come quello di oggi nel quale la bravura e la tecnica contano fino ad un certo punto lasciando spazio al immagine o magari al successo, spesso effimero dei talent e dei social».

Tornando allo show quali gruppi o artisti finiscono stavolta nel vostro folle tritatutto sonoro?
«Credo che questo sia uno degli spettacoli più divertenti che abbiamo mai fatto anche nel coinvolgimento degli spettatori. Ad esempio nel finale invitiamo il pubblico a fare la ola. In un momento di esaltazione collettiva, mentre parliamo malissimo del flauto dolce uno degli strumenti più odiati da tutti i genitori. Lo show è diviso a capitoli con diverse citazioni di gruppi storici e cantautori come Vasco Rossi: ad esempio suoniamo “Hey Jude” dei Beatles in sei maniere differenti fra cui anche quella jodel».

“Le dolenti note” in questo momento sono anche quelle che arrivano dal mondo dello spettacolo.
«La preoccupazione per quello che sta succedendo è tanta. Noi abbiamo anche una dimensione teatrale e quest’anno il nostro mercato è crollato del 70%. Speravamo di vedere la luce in questa seconda parte dell’anno ma la situazione si sta deteriorando e tutto si sta complicando. Va aggiunto come non sia facile esibirsi in teatri con la capienza assai ridotta ma neanche farlo all’aperto quando vedi le sedie con le croci sopra quasi ad indicare persone scomparse che non ti verranno mai più ad ascoltare. Allora ti viene un po’ il magone... bisogna tenere duro, essere forti».

Oltre la navigazione a vista cosa c’è nel futuro della Banda Osiris?
«In questo 2020 dovevamo festeggiare i primi quarant’anni di musica. Per l’occasione abbiamo prodotto lo spettacolo “Banda 4.0” bloccato da questa pandemia: non sappiamo ancora se proporlo il prossimo anno o puntare, con la giusta dose di scaramanzia, direttamente sui cinquant’anni».

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