Aquila d'oro per Andrea Castelli "Ho lottato per il dialetto da non relegare solo al comico"

di Daniele Benfanti

«Ho lottato per un uso elegante del nostro dialetto della città, portandolo nel teatro anche drammatico. Mi irritavo a vederlo confinato solo nelle commedie destinate a far ridere. Mio nonno contadino che parlava solo dialetto, in dialetto trentino ha pensato e vissuto tutte le emozioni della vita. E miei spettacoli in dialetto sono stati capito anche a Napoli».
Andrea Castelli subito dopo i ringraziamenti alla propria città che gli ha tributato, per il suo settantesimo compleanno, l’antico sigillo dell’Aquila di San Venceslao, ha avuto parole di omaggio proprio per il dialetto. Un ringraziamento alla moglie Nicoletta Girardi (insieme da 44 anni, compagna nella vita e nella professione teatrale) e a Marco Bernardi, il regista trentino già direttore (fino al 2015) del Teatro Stabile di Bolzano: «Mi ha aperto la porta del teatro professionistico, che io guardavo con timore reverenziale». Dal canto suo Bernardi ha apostrofato Castelli come amico e fratello e i due, separati da 5 anni all’anagrafe, alla fine della cerimonia di consegna del sigillo, ospitata a Palazzo Geremia, si sono scambiati un fraterno abbraccio. Castelli si è anche autodefinito un “ladro” di competenze attoriali e autoriali: «Me l’ha insegnato il grande Dario Fo, che mi chiamava fiöl».
Doppia laudatio per l’attore trentino. Se Bernardi ha ricordato di aver avuto Castelli come supplente al Liceo Galilei per una settimana, poi ha evidenziato i meriti del collega: «Hai trovato una cifra tra il cabaret, il pop e una tua personale comicità dell’assurdo, prima di saperti dedicare con successo alla drammaturgia. Ho pensato subito a te per il Racconto del Cermis di Pino Loperfido». Da lì, infatti, è arrivata la svolta della carriera di Castelli, attore completo, poi impegnato ogni anno con lo Stabile di Bolzano con diversi lavori di teatro civile e drammatico. Per Bernardi la migliore interpretazione di Castelli è stata il trentinissimo padre di Mara Cagol, conservatore ma molto umano, in «Avevo un palloncino rosso», di Angela Demattè. L’altra laudatio è stata proferita dalla giornalista Sandra Tafner: «Hai avuto in dote una voce che hai saputo usare molto bene» ha detto all’attore e autore premiato, con riferimento ai suoi monologhi e alle sue letture pubbliche (anche su Degasperi). Per Sandra Tafner l’autonomia creativa è stata il carburante della carriera di Castelli. Che si staccò dal teatro del padre Silvio e del Club Armonia, per creare l’innovativa compagnia dei Spiazarói. Che lasciò il posto fisso di programmista regista in Rai a Trento per puntare agli orizzonti del teatro nazionale e professionistico.
Nella lettura delle motivazioni ufficiali del riconoscimento, il sindaco di Trento Alessandro Andreatta ha sottolineato la capacità di Andrea Castelli di educare il gusto del pubblico, di averci fatto guardare allo specchio e sentire «un po’ trentini è un po’ trentoni», mettendo a nudo ingenuità, miserie, grettezze, vizi, vezzi e virtù della società locale, frenata spesso dal proverbiale provincialismo e conservatorismo. In sala un centinaio di persone. Tanti esponenti del mondo teatrale, Spiazarói compresi. In prima fila l’attrice Patrizia Milani e la moglie Nicoletta. Per la politica, gli assessori comunali Bungaro e Stanchina, il presidente del consiglio comunale Panetta, l’assessore provinciale alla cultura Bisesti, il rettore Collini, il prefetto Lombardi, il consigliere comunale leghista Bridi, Claudio Eccher. In fondo alla sala il candidato sindaco Ianeselli.

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