Andrea Pennacchi "Pojana" il 20 agosto in scena ad Arco

«Pojana e i suoi fratelli», monologo teatrale con la musica dal vivo di Giorgio Gobbo, chiude giovedì 20 agosto la rassegna «Il castello delle meraviglie» (inizio alle ore 21). Noto al grande pubblico come presenza fissa alla trasmissione televisiva Propaganda Live di La7, Andrea Pennacchi porta in scena nella spettacolare cornice del prato della Lizza al castello di Arco lo spettacolo tratto dal suo ultimo libro («Pojana e i suoi fratelli», ed. People, marzo 2020): un nuovo e più graffiante «bestiario veneto» che rende conto di vent’anni in cui il nordest ha visto sia il culmine di un boom economico straordinario, sia gli esiti della profonda crisi del 2009.


I fratelli maggiori di Pojana: Edo il security, Tonon il derattizzatore, Alvise il nero e altri, videro la luce all’indomani del primo aprile 2014. In quel giorno, infatti, l’Italia scoprì che in un capannone di Casale di Scodosia (comune del veneziano noto per i mobilifici e per i carri allegorici) veniva costruito un secondo Tanko, una macchina movimento terra blindata, con un cannoncino in torretta. Io e il mio socio, il musicista Giorgio Gobbo, sentimmo subito la necessità di raccontare alla nazione le storie del nordest che fuori dai confini della neonata Padania nessuno conosceva.


«Il mondo deve sapere -scrive Andrea Pennacchi- come mai i laboriosi veneti costruiscono nei loro capannoni svuotati dalla crisi delle “tecniche” degne dell’Isis. Va detto che queste storie venivano già raccontate da giornalisti straordinari come Rumiz e Stella, o sociologi come Diamanti, ma a teatro erano ancora poco presenti. C’era un buco, pensavamo. È significativo e terribile che i veneti siano diventati, oggi, i cattivi: evasori, razzisti, ottusi. Di colpo. Da provinciali buoni, gran lavoratori, un po’ mona, che per miseria migravano a Roma a fare le servette o i carabinieri (cliché di molti film in bianco e nero), a avidi padroncini, così, di colpo, con l’ignoranza a fare da denominatore comune agli stereotipi. Un enigma, che per noi si risolve in racconto: siamo passati da maschere più o meno goldoniane a specchio di una società intera. Una promozione praticamente».


«Quando Francesco Imperato mi propose di collaborare al progetto “This is Racism”, recitando il testo di Marco Giacosa per il video di “Ciao Teroni” (c’era un titolo più lungo e articolato, ma la viralità lo ha ridotto a questo), Franco Ford detto “Pojana” era già nato. Era il ricco padroncino di un mio adattamento delle “Allegre comari di Windsor” ambientato in Veneto, con tutti le sue fisse: le armi, i schei e le tasse, i neri, il nero. In seguito, la banda di Propaganda Live l’ha voluto sul suo palco, e lui si è rivelato appieno per quel che è: un demone, piccolo, non privo di saggezza ma non particolarmente in alto nella gerarchia infernale, che usa la verità per i suoi fini e trova divertenti cose che non lo sono, e che è dentro ognuno di noi. Ed eccolo qui, con tutti i suoi fratelli, a raccontare storie con un po’ di verità e un po’ di falsità mescolate, per guardarsi allo specchio».

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