Cunningham, un viaggio nella danza

di Fabio De Santi

Per la danza esiste un prima e un dopo Merce Cunningham, per molti il coreografo più influente del ventesimo secolo. Un artista che ha rivoluzionato il modo copernicano l’osservazione della danza e trasformato il palcoscenico in uno spazio democratico, esplorando insieme al compagno di vita John Cage, il caso e il distanziamento tra musica e movimento pur nella coesistenza del medesimo spazio-tempo della performance.

Questa la premessa per delineare i tre appuntamenti per l’Oriente Occidente Dance Festival dedicati a Cunningham: si è iniziato ieri con un site specific, alle 18 nel Giardino dell’ex Catasto, per proseguire con i due spettacoli di oggi e sabato alle 20.30 allo Zandonai.

Dietro questi omaggi c’è Daniel Squire, ex danzatore della compagnia di Cunningham, sciolta nel 2011 per volontà testamentaria del coreografo, che ha coinvolto danzatori, dal diverso background e con esperienze nelle più importanti compagnie europee, a interpretare gli assoli estrapolati dallo sterminato repertorio di Cunningham e accompagnati dalla musica di John King 100tone-candles.

Daniel Squire, quali forme avrà l’omaggio a Merce Cunningham che proporrete a Oriente Occidente?

«Il Cunningham Centennial Solos al Teatro Zandonai sarà un prolungamento della celebrazione dei cento anni di Merce che ha avuto luogo a Londra, New York e Los Angeles nella data di quello che sarebbe stato il suo centesimo compleanno. Per queste rappresentazioni a Rovereto avremo a disposizione nove danzatori, ognuno dei quali conosce quattro assoli tratti da varie opere di Cunningham che coprono circa sei decenni, rappresentando così una parte piuttosto consistente del lavoro di Merce».

E come saranno eseguiti questi assoli?

«In un modo ricontestualizzato: invece di essere eseguiti con la musica e il costume originali, questi elementi vengono ridefiniti appositamente per questa particolare performance. Gli assoli possono coesistere, infatti in molti casi essi verranno eseguiti assieme a uno o due altri assoli che si sovrapporranno a loro volta ad altri. Niente apparirà esattamente come nella coreografia originale e in momenti diversi corrisponderà un diverso numero di danzatori sul palco. Questo fornirà quindi un elemento di imprevedibilità per il pubblico. La traiettoria dei danzatori e la durata degli assoli sarà molto varia e imprevedibile».

Da dove nasce l’idea di una serata come questa che si lega a quelle proposte a Londra, Los Angeles e New York?

«L’idea è nata per festeggiare il lavoro di Merce con la creazione di qualcosa di nuovo. In questo caso avremo 36 assoli di 9 ballerini in uno spettacolo di un’ora. Abbiamo voluto creare qualcosa di inaspettato per il pubblico e di sconosciuto per noi. Non sappiamo esattamente come tutto questo si svolgerà e quale relazione si instaurerà tra i danzatori sul palco. Tutto questo riflette l’idea di mutevolezza del lavoro di Merce.
Quindi non c’è un intento narrativo specifico o un punto di vista specifico, ma le possibilità per ogni membro del pubblico di vedere l’opera in modo diverso: rendere giustizia al lavoro di Merce».

Come ha scelto i danzatori, dal diverso background, che animeranno questo spettacolo?

«La scelta ha richiesto anni. Attraverso la tecnica di Merce e la messa in scena delle sue opere ho avuto modo di conoscere un gran numero di danzatori in diversi ambienti. Altre volte ho visto danzatori che forse non avevano mai lavorato con la tecnica del Maestro, ma con una qualità di movimento tale da farmi pensare comunque al suo lavoro. Così per gli spettacoli al Barbican del 2019 ho scelto in parte ballerini che conoscevo, in parte ballerini che conoscevano già gli altri danzatori e ho fatto anche un po’ di ricerca online, guardando video di balerini in prova e compagnie che pensavo potesse essere bello avere rappresentate. Sono state varie le modalità adottate per trovare ballerini di diversa provenienza garantendo a tutti la possibilità di portare con sé il proprio background senza cercare di nasconderlo, ma mantenendo la propria diversità l’uno dall’altro».

Il lavoro di Cunningham è anche profondamente legato alla musica.

«Sì, ha una musicalità molto ricca e poi nell’esecuzione molto spesso la musica coesiste con la danza nello spazio scenico. La musica ha un certo ritmo, certe sensazioni e cambiamenti che in diverse occasioni entreranno in relazione con la danza. La musica però ha una non prevedibilità che influenza il modo in cui il pubblico vedrà la danza. Questo accade nella tradizione di Cunningham: ciò che davvero unisce la danza e la musica per lui è il fatto che sono entrambe arti che esistono nello spazio e nel tempo. Si allontana così da imposizioni culturali o tradizione per vedere cosa genera la fusione delle due arti, invece che il loro essere strumentale l’una all’altra».

Qual è era, per lei, la grandezza di Merce Cunningham?

«Per me uno degli aspetti più importanti di Merce Cunningham si lega al suo genuino interesse per il movimento, al vedere la gente muoversi ma anche alla scoperta continua di come lui stesso e gli altri si muovevano. Sono stato al suo fianco per undici anni e per me quel periodo è stato una sorta di lungo, indimenticabile, viaggio nella danza».

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