I Promessi Sposi? Per Corrado D'Elia Manzoni è come Netflix

di Fabio De Santi

"Alessandro Manzoni è un nostro contemporaneo: non dobbiamo togliere la polvere dai Promessi sposi, dobbiamo toglierla dal nostro sguardo". 

Così Corrado D’Elia ci parla di «Torno ai Promessi Sposi. Un’epopea contemporanea a prova di Netflix» lo spettacolo, o forse gli spettacoli, come ci racconta qui l’attore che sta prendendo forma in questi giorni al Teatro Sociale. Sul palco, a provare e riprovare, insieme a D’Elia ci sono il drammaturgo Gian Luca Favetto e il regista Sergio Maifredi, per questa avventura che nasce dalla collaborazione tra Centro S.Chiara di Trento, il Teatro Pubblico Ligure e la compagnia che prende il nome dall’attore milanese.

D’Elia, inizierei da un titolo davvero coraggioso che intreccia I Promessi Sposi con la potenza web di Netflix.
«I Promessi Sposi sono una grande storia, un’epopea fatta di grandi storie. Abbiamo capito, anche leggendolo davanti al pubblico prima della chiusura dei teatri, che cattura immediatamente l’attenzione dello spettatore. Questo è sorprendente perché siamo tutti abituati a pensare ad un Manzoni relegato in un ambito scolastico. Ci siamo quindi detti che non siamo noi a dover cambiare Manzoni adattandolo al nostro oggi ma siamo noi a dover cambiare i nostri occhi quando leggiamo le sue pagine».

Quasi come fossero un telefilm di Netflix?

«Certo perchè i suoi personaggi, le sue storie, le sue descrizioni, il suo romanzo popolare, ci portano in un immaginario che è come vedere una serie di Netflix. Quelle serie che “ti fregano” che hai voglia di rivederle, di andare avanti, di cui aspetti la nuova stagione. In Manzoni è la stessa cosa, la gente ride, piange, si diverte, viene coinvolta». 

Un romanzo quindi ancora attuale?

«Sì, come leggere Dante attraverso i grandi interpreti ce lo mostra contemporaneo lo stesso accade per il Manzoni dei Promessi Sposi. Queste pagine sono dentro di noi, fanno parte della nostra cultura. Il nostro invito attraverso questo lavoro è quello di rileggerlo e riascoltarlo, di togliere quella polvere che teniamo su questo libro troppo spesso legato solo alla nostra esperienza scolastica».

Che spettacolo sta nascendo allora al Sociale?
«Confesso che in questi giorni a Trento siamo quasi immersi in una dimensione senza tempo. Sappiamo che nascerà uno spettacolo ma senza l’urgenza dei tempi. Grazie alla collaborazione fra il Centro S. Chiara e il Teatro Pubblico Ligure possiamo concederci il lusso, in un momento drammatico in cui i teatri sono fermi, di continuare a provare e a ricercare. In questo modo in realtà andiamo quasi più veloci di prima perché non avvertendo lo scorrere del tempo continuiamo a studiare e ad approfondire grazie al senso di non urgenza. Al Sociale stanno nascendo insieme a Maifredi e a Favetto diversi percorsi, diversi spettacoli, che prenderanno forma dalle varie spore manzoniane».

Un lavoro che prevede una sorta di diario di bordo.
«Sì, l’intenzione è quella di mostrare, di raccontare quello che facciamo anche attraverso pillole di immagini, interviste, che saranno disponibili anche sul sito del S. Chiara. L’idea è anche quella di fare un libro su questa esperienza e di realizzare video e audio con la forma del podcast».

Un’arte teatrale che va avanti anche senza il contatto con il pubblico: ma per quanto?

«Il teatro non va avanti senza la gente che viene a vederti. Però non bisogna dimenticare che una parte del teatro sono le prove che lo spettacolo è solo la punta dell’iceberg. Noi ci stiamo preparando a qualcosa che verrà sicuramente. Purtroppo in tempi di “peste”, giusto per pensare al Manzoni, come quelli che stiamo vivendo, manca il pubblico e per noi attori questo è estenuante».

A quali progetti sta lavorando?
«Sto scrivendo un testo su Steve Jobs, il primo di quella che dovrebbe essere una serie dedicata ai visionari. Il tema è quello dell’utopia, vorrei raccontare chi ha fatto del tempo della creazione anche il tempo della sua vita. Io ho scritto di personaggi come Beethoven o Van Gogh ma in questo caso penso alla contemporaneità a chi come Steve Jobs ha dedicato la sua vita al proprio sogno».

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