Estate bollente, i ghiacciai si ritirano, sparita la neve dell'ultimo inverno
Rischiano anche le centrali elettriche. Sparita la neve dell'ultimo inverno
I ghiacciai trentini si ritirano: il fenomeno non è nuovo ma l'estate 2015 rischia di farsi ricordare a lungo. Per studiare la loro vita collaborano Provincia, Meteo Trentino, Muse e Comitato glaciologico della Sat. Roberto Bombarda (fondatore del Comitato) e Christian Casarotto (mediatore culturale del Muse) fanno il punto. «I ghiacciai hanno molte funzioni - spiega Casarotto - influiscono sul microclima, regolano i fiumi assorbendo neve e piogge che poi rilasciano gradualmente, incidono su alimentazione umana, irrigazione, allevamento e produzione idroelettrica».
Ma quale dei nostri ghiacciai soffre di più?
«In salute non ce n'è nemmeno uno, meglio stanno quelli a quote elevate e con masse maggiori. L'esempio migliore è quello dell'Adamello che, pur in riduzione da anni, è il più grande d'Italia. A stare peggio sono quelli che si stanno dividendo: affiorano "isole" di roccia che sono fonte di calore che si aggiunge a quello assorbito lungo il perimetro. Su tutti, soffre il ghiacciaio del Careser, nel gruppo del Cevedale: è esposto a sud, prende il sole tutto il giorno ed è diviso in cinque. Lì bisogna cominciare a fare due conti sulla quantità d'acqua che conserva, visto che alimenta il lago artificiale sottostante, che ha fini elettrici». Il Careser ha anche un'altra caratteristica: «È l'unico in Italia monitorato scientificamente e costantemente dal 1967».
Un'estate eccezionale, questa.
«Una cosa che si valuta è la quantità di neve residua: quest'anno è già completamente scomparsa. I ghiacciai sono "scoperti" e siamo appena a metà luglio». Gli effetti poi si manifestano anche a lungo termine. «Si nota facilmente il fronte che arretra, ma in estati come questa si fonde anche la parte a monte. I ghiacchiai scorrono e, se si perde massa a monte, gli effetti a valle si vedono dopo anni, in media tre. L'Adamello è grande e l'effetto si apprezza dopo 15 anni».
Due numeri per rendere l'idea.
«Mediamente, i ghiacciai trentini si riducono di 4 metri di spessore nelle porzioni frontali, il fronte arretra di una quindicina di metri l'anno. Quest'anno avremo valori superiori». Con la fusione «Cambia anche la frequentazione della montagna, il lavoro dei rifugi. Inoltre il ghiaccio che si scioglie genera gallerie che causano poi cedimenti».
Casarotto conclude: «Non bisogna fare geoterrorismo: perdiamo ghiaccio ma guadagnamo terreno, bosco e piante. Dobbiamo gestire il territorio e il suo cambiamento».
Roberto Bombarda ha creato il gruppo glaciologico trentino «Siamo un po' gli "operai della vigna": quelli che vanno a fare i rilievi. La nostra campagna glaciologica inizia solitamente dopo il 20 di agosto: la fusione non è finita, ma ad aspettare si rischiano le prime nevicate che impedirebbero valutazioni precise. Qualche monitoraggio lo abbiamo fatto in primavera: in quel caso si valuta la presenza di neve al termine di quella che si chiama "stagione di accumulo". Si prefigura un'annata molto negativa: se va avanti così assomiglierà a quella del 2003, che combinò scarse precipitazioni invernali con temperature estive elevatissime». In sintesi: «Non solo si è sciolta tutta la neve accumulata, ma si stanno sciogliendo anche gli accumuli degli anni precedenti e che si stavano trasformando in ghiaccio».
Un caso particolare è quello del ghiacciaio del Presena, l'unico dove si scia e che viene tutelato apponendo apposite coperture che limitano la fusione. Infine Bombarda dice: «A chi vuole approfondire consiglio una vistita al Centro glaciologico Julius Payer, in Val Genova. Ogni domenica di luglio e agosto un operatore è a disposizione per attività divulgative e si ha la possibilità di osservare dal vivo il fronte del più grande ghiacciaio d'Italia».