Industria: 600 in "cassa" A casa 200 lavoratori precari

di Francesco Terreri

Su 20 aziende metalmeccaniche trentine tra le maggiori del settore, con 3.300 addetti complessivi, l’80%, cioè 16 imprese con 3.142 dipendenti, ha registrato un calo della produzione nel corso di quest’anno. Sul comparto più dinamico dell’industria locale pesano soprattutto le tensioni nel commercio internazionale, che frenano l’export, e le crisi che si stanno affacciando come quella del settore auto e dei motori diesel.

Tra le conseguenze della brusca frenata, ci sono 600 lavoratori che, sia pur a turno e per periodi parziali, vanno in cassa integrazione ordinaria, e 200 contratti a termine non rinnovati o non prorogati da inizio anno, cioè 200 lavoratori e lavoratrici che hanno perso il posto su un totale di poco più di 600 addetti a tempo determinato. I rimanenti 428 precari, il 15% dei dipendenti totali, sono appesi a un filo.

Sono i risultati principali dell’indagine sulla situazione del comparto metalmeccanico provinciale effettuata nelle scorse settimane dalla Fim Cisl e presentata ieri al consiglio generale del sindacato. «Preoccupa il calo di commesse registrato dopo le chiusure estive e la crescita delle richieste di cassa integrazione - afferma Paolo Cagol, coordinatore del rapporto - Nelle aziende monitorate, dove lavorano oltre 3.300 metalmeccanici trentini, circa un terzo del settore, sono ancora 428 i contratti precari. Se prosegue la fase di contrazione, saranno i primi a saltare ma nessuno se ne accorgerà, sono invisibili. Eppure si tratta di un capitale umano formato che va perduto».

Nella maggior parte delle aziende esaminate, per far fronte alla contrazione economica si è fatto ricorso a strumenti di flessibilità interna quali smaltimento di ferie e permessi residui, riduzione dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario (in circa il 90% dei casi presi in esame e nella totalità dei casi in cui si è registrato il calo). In più di metà delle aziende (56%) si è ricorso alla programmazione di lavori supplementari non direttamente legati alla produzione quali pulizie o manutenzione straordinaria. Soltanto il 12% delle aziende intercettate, osserva criticamente il sindacato, hanno sfruttato il periodo di minor lavoro per far svolgere attività di formazione ai propri dipendenti, nonostante l’impegno assunto nel vigente contratto nazionale, ma finora largamente disatteso, a programmare almeno 24 ore di formazione continua entro il triennio 2016-2019.

Dove gli strumenti di flessibilità non sono stati sufficienti, si è fatto ricorso al mancato rinnovo dei contratti a termine giunti a scadenza (in quasi il 70% dei casi) o alla cassa integrazione, da anni scomparsa dai tavoli negoziali e oggi avviata da un quarto delle aziende oggetto dell’indagine. Si tratta delle Acciaierie Venete di Borgo Valsugana (100 addetti), della Sandvik di Rovereto (130), della Pama di Rovereto (280), della Fonderia Marchesi di Tione (40 dipendenti), della Lincoln Electric Italia, ex Isaf, di Storo (50 addetti).

La situazione, osserva il sindacato, desta particolare preoccupazione per le difficoltà delle imprese a fare previsioni di medio lungo termine e per l’elevata presenza di lavoratori con contratti precari. Le difficoltà trentine si inseriscono nel quadro più generale di crisi del settore a livello nazionale, per il quale le segreterie nazionali di Fim Fiom e Uilm proprio in questi giorni hanno comunicato azioni di mobilitazione a partire dalle due ore di sciopero con assemblee nei luoghi di lavoro convocate per giovedì prossimo 31 ottobre e la convocazione di un’assemblea nazionale unitaria dei delegati il 20 novembre a Roma.

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