Le Regioni a Roma: 20 miliardi di perdite con lo stop allo sci «In tal caso ristori immediati»

Potrebbe arrivare un no concordato a livello europeo alla riapertura natalizia delle piste da sci. Ma il settore del turismo invernale spera ancora che ci sia qualche spiraglio per salvare parzialmente la stagione.

Dopo il muro alzato dal governo italiano di fronte alla proposta di Regioni e Province autonome per una riapertura con linee guida più severe, anche dalla Francia arriva un’anticipazione sul prolungamento delle chiusure fino a gennaio. Questo sarebbe anche l’orientamento della Germania, mentre la più recalcitrante Austria non vorrebbe chiudere e in caso di stop intende chiedere risorse europee per le compensazioni da erogare ai territori economicamente colpiti dai divieti di riprendere le attività nel periodo più redditizio della stagione invernale.

Anche in Italia, mentre si assottigliano le possibilità di un via libera, si discute dei cosiddetti ristori, vale a dire le cifre a fondo perduto che lo Stato dovrà garantire agli operatori del settore e dell’indotto che con uno stop natalizio subirebbero pesanti perdite economiche.

Oggi lo hanno ribadito con chiarezza gli assessori al turismo delle Regioni alpine, che si sono riuniti oggi: per la Provincia autonoma di Trento Roberto Failoni.

«Una perdita di indotto pari a 20 miliardi - una cifra vicina all’1% del Pil nazionale - questo il danno che la montagna legata all’industria dello sci sarà costretta a subire senza l’avvio della stagione invernale», hanno sottolineato gli esponenti dei governi locali, chiedendo un incontro urgente al ministro dell’economia, Roberto Gualtieri.

«In questi ultimi giorni - scrivono gli assessori - si sono ripetuti i messaggi di esponenti del governo e virologi che affermano come si possa tranquillamente fare a meno della settimana bianca e dello sci, uno svago che non è indispensabile.

Con questa nota, tuttavia, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento, Veneto e Friuli Venezia Giulia intendono rimarcare al governo la pericolosità di queste affermazioni.

Non è corretto parlare di solo sci: attorno alla stagione invernale abbiamo intere economie di montagna e alcune centinaia di migliaia di posti di lavoro perlopiù stagionali; infatti agli impiantisti bisogna aggiungere i noleggi, le scuole di sci, i ristoranti, i rifugi, gli alberghi, i bar, i negozi e tutte le altre attività economiche legate, dall’artigianato alla filiera alimentare, senza dimenticare il settore dei traporti privati, dei servizi, della moda, dei carburanti e così via.

Noi siamo pronti al confronto con il governo per evitare rischi collegati alle festività, e siamo sicuri che è possibile gestire la questione.

Del resto quando chiediamo l’apertura dei comprensori sciistici in sicurezza grazie al protocollo approvato lunedì lo facciamo per tutelare un indotto che è vitale per la montagna, ad oggi non ci sono alternative per garantire un tale indotto e occupazione.

Pertanto, sia in caso di prolungamento della chiusura dei comprensori sciistici sia nel caso di una riapertura con forti limitazioni di presenze sugli impianti e piste da sci, chiediamo al ministro Gualtieri e al governo Conte di prevedere adeguate misure economiche di ristoro per le attività direttamente ed indirettamente coinvolte», così concludono gli Assessori delle Regioni delle Alpi.

Per parte sua, il presidente veneto Luca Zaia torna a sollevare il problema della riapertura degli impianti sciistici, alla vigilia di una stagione che per la montagna rappresenta un’ancora di salvezza dalla crisi indotta dal covid-19. E si fa portavoce delle istanze delle Regioni presso il Comitato tecnico scientifico, sollecitando l’esame delle linee guida che potrebbero garantire un inverno in sicurezza.

«Davanti alle notizie che si rincorrono - ha detto oggi, nel consueto punto-stampa dedicato alla pandemia - con la Svizzera che riapre, l’Austria pure, tutto questo rischia di farci fare la figura della periferia, dei dimenticati».

E l’occasione potrebbe essere un confronto sul prossimo Dpcm previsto per il 3 dicembre: «Abbiamo chiesto - ha aggiunto Zaia - una convocazione con i ministri Speranza e Boccia, ne ho parlato con il presidente Bonaccini, il vicepresidente Toti e il presidente di Bolzano Kompatscher, per avere un confronto sul rinnovo del Dpcm. Siamo disponibili a tutte le ore, anche perché il Cts possa discutere la partita della neve».

«Come Regioni - ha spiegato quindi - abbiamo presentato le linee guida, ora tocca al Cts esprimersi. La montagna ha solo due problemi: l’assembramento all’impianto e il trasporto dentro le funivie o le cabinovie. I rifugi sono niente di più e niente di meno dei ristoranti, quindi sanno già quali son o le regole da seguire e da far rispettare. Noi abbiamo fatto proposta dell’uso della mascherina e dei distanziamenti». Zaia ha quindi ricordato l’ordinanza regionale di ieri, che contiene nuove norme precise anti-assembramenti: «Se oggi fossero aperti gli impianti sciistici - ha sottolineato - l’ordinanza eviterebbe per esempio le passeggiate nel centro della città turistica invernale. Il vero tema è invece capire se si rischia e quanto si rischia. Dobbiamo capire il punto di equilibrio, guardando comunque al fatto che prima conta la salute».

Se invece il governo deciderà di non aprire gli impianti per Natale, secondo Zaia «ci vuole certezza sui ristori, senza tante fantasie: si guarda il fatturato prima del Covid, si fa la proporzione sui giorni in cui non c’è, diamo uno sconto del 10-20-30%, alla tedesca, e via. Molte misure non decollano perché non c’è certezza del ristoro, e molti ci dicono che piuttosto dell’incertezza sui ristori è meglio chiudere», ha concluso.

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