L'equipe che "aggiusta" i bacini rotti Al Santa Chiara medici specializzati rimettono in piedi in poche settimane

di Patrizia Todesco

Fino a qualche anno fa se al S. Chiara arrivavano pazienti con una frattura al bacino non c’erano molte alternative: dovevano essere trasferiti in sedi dove potessero ricevere dei trattamenti idonei per limitare gli esiti invalidanti. Oggi le cose sono cambiate e a Trento esiste un’equipe specializzata in grado di procedere alla fissazione interna del bacino e di rimettere in piedi gli infortunati nel giro di poche settimane. Certo, poi la strada per tornare a camminare autonomamente è lunga. C’è bisogno di tanta riabilitazione e a volte di interventi di ripresa chirurgica, ma i risultati di questi anni sono più che incoraggianti tanto che Trento è diventato uno dei pochi centri nazionali dove vengono effettuati questi interventi. 

Il dottor Antonio Musetti, responsabile della traumatologia nel reparto di ortopedia del S. Chiara, negli anni si è specializzato proprio per ricomporre queste fratture e ha creato un team formato da anestesisti, neurochirughi e chirurghi vascolari in grado di intervenire per preservare al massimo tutti gli elementi che vengono compromessi quando accade un trauma che interessa il bacino.

Quanti interventi di questo tipo vengono effettuati ogni anno?

Lo scorso anno ne abbiamo fatti 37, ma il numero è in crescita anche perché la frattura del bacino è collegata spesso ad attività sportive ad elevato rischio di trauma ad alta energia come il parapendio o lo sci. Recentemente abbiamo avuto anche pazienti che si sono infortunati durante il downhill. Nel periodo estivo si aggiungono pure i motociclisti in quanto l’impatto con il serbatoio, in caso di incidente, spesso provoca fratture a livello del bacino. Prima queste persone avevano esiti invalidanti fino a rimanere in sedia a rotelle, oggi la maggior parte torna a camminare. È certo che si tratta di una chirurgia di elevata specializzazione, non esente da rischi o possibili complicanze intraoperatorie anche gravi. Per quanto riguarda la nostra realtà, negli ultimi tre anni, su cento casi, tutti sono tornati a camminare e solo 3 pazienti hanno avuto dei lievi danni neurologici. Una percentuale al di sotto di quelli che sono standard della letteratura scientifica che descrive un 12% di danni neurologici, ma che obbliga a tenere “alta la guardia” e ad una estrema attenzione durante la fase operatoria. Per questo abbiamo stabilito una ottima collaborazione con i neurochirurghi che più volte hanno dimostrato competenza, quando si sono presentati traumi maggiori in cui, oltre all’anello pelvico, è stata coinvolta la colonna vertebrale.

Quanto è importante la velocità con la quale si effettua l’intervento in questi casi?

Molto. Un tempo si aspettavano parecchi giorni soprattutto perché si volevano evitare complicazioni legate alle lesioni vascolari. Oggi, grazie alla collaborazione dei colleghi vascolari e radiologi interventisti, possiamo procedere quanto prima all’intervento, con relativa sicurezza. La possibilità di procedere alla stabilizzazione delle frattura nel giro di poco tempo comporta maggiori probabilità di buoni risultati.

Questo tipo di fratture non viene trattata in tutte le ortopedie italiane. Conferma?

È così. Nel Nord Italia, in Veneto, il Centro di riferimento a cui afferire per questo tipo di patologia è stato identificato nell’ospedale di Camposampiero, vicino Padova, anche qui con equipe dedicata. Altri centri li troviamo a Milano, Brescia e Bologna, ma anche l’ortopedia di Bolzano sta crescendo in questa chirurgia. È per questo da noi arrivano anche pazienti da fuori Provincia. Io personalmente sono in contatto con un gruppo ristretto di colleghi italiani ed europei coi quali ci incontriamo e ci sentiamo costantemente per tenere alto il livello di offerta chirurgica e con i quali ci confrontiamo su molti casi. Anche recentemente sono stato in Olanda e Germania, dove ho avuto la possibilità di provare nuovi tipi di placche per il trattamento delle fratture complesse. Devo sottolineare la disponibilità dell’Azienda Sanitaria ad investire in questo campo chirurgico.


Quanto sono lunghi i tempi di recupero?

Dipende dalle persone. Il tempo medio di recupero completo è di alcuni mesi. Per esempio un ragazzo di circa 30 anni che abbiamo operato in agosto e ha iniziato a deambulare con carico già dopo 2 mesi, cammina. Molto dipende anche dalle condizioni generali delle persone che riportano questo tipo di fratture, che spesso sono associate ad altre lesioni generali. Ad incidere è poi il team multidisciplinare (ortopedici, infermieri e fisioterapisti) che segue il paziente.

Nella foto sotto l'ortopedico Antonio Musetti

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