La storia di Nicolle: la ragazza che realizza l'impossibile ed è felice "amo come sono, anche senza un pezzo"

di Matteo Lunelli

«Se potessi tornare indietro nel tempo vorrei che quello che mi è accaduto mi capitasse di nuovo: una frase famosa dice che nella mancanza si trova abbondanza, e così è per me. È vero, ho perso una mano, ho perso una parte di me, ma questo mi ha arricchita, mi ha resa più sensibile, più altruista, più attenta alle esigenze del prossimo. Senza quell’incidente oggi non sarei quella che sono. E siccome sono felice e mi piaccio va benissimo così». In questa frase c’è tutta Nicolle Boroni. Ci sono il suo coraggio e la sua intraprendenza. C’è il suo sorriso alla vita. C’è la sua bellezza. E tutto questo in una ragazza di 27 anni, a volte, non è facile trovarlo. Un limite, ovvero quella mano persa quando aveva solo quattro anni («E meno di una settimana dopo avrei compiuto i 5», aggiunge), che ha saputo trasformare in uno stimolo, in una sfida e in un’opportunità. Racconta. «In questi anni ho elaborato quello che mi è accaduto: avevo appunto quasi 5 anni ed ero appena tornata dalle piste, visto che facevo parte di uno sci club. I miei genitori hanno una macelleria e io ero lì con mio fratello. Ci stavamo divertendo e stavamo giocando, quando è avvenuto l’incidente». Incidente che le ha cambiato la vita, penserebbe qualcuno. «Incidente che in fin dei conti mi ha migliorato la vita», dice invece Nicolle. Con due elle, sì. «Mio papà ha voluto esagerare - sorride - ma si pronuncia come se l’ultima sillaba non ci fosse. Tornando all’incidente non voglio dire che sia stato tutto facile, anzi. Ci sono state le prese in giro, le difficoltà, il vergognarsi e il non poter fare tutto quello che avrei voluto. Ho impiegato più di vent’anni a imparare a volermi bene e ad amare il mio corpo così come è, senza un pezzo. Però adesso sono più ricca, ho abbracciato questa mia diversità e l’ho resa una mia forza».

Una diversità che ha voluto raccontare pubblicamente, per essere da stimolo e da esempio. Ne ha parlato sul blog “Donne di Montagna” con Chiara De Pol, un’altra ragazza intraprendente e coraggiosa che ha affrontato e vinto la sua battaglia contro il cancro, ideatrice dei Trekking Rosa, le camminate che uniscono la montagna a informazione e prevenzione. «Ci ho pensato prima di parlare di me, anche perché non ritenevo la mia storia così speciale. Ma se posso essere un po’ di ispirazione per qualcuno, allora lo faccio volentieri». Nicolle, di Bocenago, lavora all’Apt a Madonna di Campiglio. Una vita in quota, sempre nella natura, costantemente attiva. E proprio nella montagna, oltre che nella famiglia e nei tanti amici, ha trovato un fedele alleato nella lotta alla normalità. Una lotta che ha avuto anche altri insospettabili alleati. «Una mia allenatrice di sci, ad esempio. Dopo l’incidente ho dovuto smettere, ma poi sono tornata in pista, anche se con una racchetta sola mentre al centro protesi di Budrio mi stavano preparando una protesi mioelettrica, e solo per allenarmi e divertirmi. Un giorno mi ha detto “O ti iscrivi anche alla gara o niente allenamenti”. L’ho fatto e sono arrivata seconda. E ancora: dopo il primo anno di superiori volevo iscrivermi a un indirizzo sportivo. Ma al colloquio mi dissero che avrei dovuto fare anche l’arrampicata, aggiungendo “ma tu senza una mano non puoi farla, non puoi riuscirci e forse dovremo bocciarti”. E invece? Ora arrampico. E vado anche “da prima”. Quelli che erano limiti per quel professore non lo sono stati per me: ce l’ho fatta. Riesco a salire, ad andare su, in alto. Devo ringraziare le mie amiche, che mi hanno invitata ad andare con loro in parete: “Dai vieni, provaci. Casomai ti aiutiamo, se hai problemi ti aspettiamo, ma vedrai che ce la farai e ti divertirai”, mi hanno detto. E avevano ragione».

Poi, oltre allo sci e all’arrampicata, sa anche fare rafting e giocare a pallavolo, andare in mountain bike e fare fondo. «Sono una testarda, è vero. Se mi metto in testa qualcosa e decido di farlo mi impegno finché non ci riesco. Un po’ a modo mio, a volte, ma alla fine ce la faccio. Quando riesco a fare uno sport o un’attività per la quale, si pensa, servano sempre due mani allora mi sento realizzata. È come vincere una scommessa ogni volta. Se fossi nata e cresciuta in città credo sarebbe stato tutto diverso, mi sarei adattata di più alle situazioni, adagiandomi. Vivendo a Bocenago, invece, è normale che tutto il tempo libero si svolga all’aria aperta e quindi la montagna fa parte della mia vita: stare quassù ha il vantaggio di poter essere subito fuori, in pista d’inverno o in bici o nei boschi d’estate. La disabilità è diventata un’opportunità e negli sport che faccio gli ostacoli sono tutti naturali, quindi non importa che una persona sia disabile o meno: le rocce, le dune, gli alberi sono lì e rimangono sempre lì, sta a ogni persona capire il modo per affrontarle, ognuno con la propria tecnica».

Un’altra grande passione sono i viaggi. «Ti racconto un episodio, avvenuto quando sono stata in Ecuador, per un mese di volontariato insieme a dei bambini. Ho conosciuto per caso un pescatore e guardandoci abbiamo notato che eravamo entrambi senza una mano: lui l’aveva persa lanciando una sorta di mina. Era in imbarazzo con me e a un certo punto si mise a piangere perché, mi disse, lo commuoveva vedere la mia forza, vedere che facevo le trecce alle bambine e che mi allacciavo le scarpe da sola, e tutto questo in una ragazza così giovane gli dava speranza e felicità. Alla fine gli ho insegnato a fare le trecce, così avrebbe potuto farle a sua figlia. Tornando ai viaggi, recentemente sono stata in Africa, in Gambia, sempre per fare volontariato tramite una ragazza di Spiazzo. Quei luoghi ti rapiscono e infatti vorrei tornarci. Quando posso prendo la valigia e parto, è bello conoscere nuovi posti e nuove persone». Ma poi si torna in Trentino, si torna tra le montagna. Per sciare e arrampicare, ma anche per lavorare. «Da tre anni sono all’Apt, nell’area prodotto, accoglienza ed eventi. Mi piace e così, in fin dei conti, la montagna è diventata anche un lavoro. Il mio sogno nel cassetto? Ci sono tantissime cose che mi piacerebbe riuscire o continuare a fare, ma per ora posso dire che sto bene. Lavoro, arrampico, viaggio, vivo da sola. Sono felice». Una felicità condivisa e diventata un messaggio “contagioso” per chiunque. Anche per le donne. E qui prendiamo in prestito la risposta che ha dato sul blog “Donne di montagna” spiegando cosa si può dire alle donne che affrontano un momento difficile. «Credo che ognuna di noi prima o poi nella vita abbia un momento complicato, per un motivo o per l’altro. Ma sono più che sicura che tutte noi abbiamo dentro un’inaspettata riserva di forza che emerge quando la vita ci mette alla prova. Non bisogna fermarsi e non bisogna lasciarsi fermare da altri. Credo che ogni donna debba scegliere di essere se stessa ogni giorno, con le debolezze, i difetti e le paure che ci appartengono. Guardatevi allo specchio ogni mattina e fatevi un sorriso, siete bellissime e tremendamente forti».

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