Scuola, le lezioni a distanza sono una vera opportunità

di Paolo Micheletto

«Le nuove sfide che la scuola ha dovuto affrontare sono enormi. Ma la risposta è stata importante e gli insegnanti vanno ringraziati. Come vanno ringraziati gli studenti. I genitori possono stare tranquilli». Parola di Luciano Covi, direttore dell’Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa (Iprase). L’ente strumentale della Provincia ha dovuto fare da regia tra le scuole trentine, in modo da offrire un livello più omogeneo possibile.

Qual è il bilancio di questo mese di didattica a distanza, direttore Covi?

Il bilancio è positivo. Gli studenti usciranno da questa situazione con nuove competenze. Mettere i ragazzi di fronte a nuove prove può diventare molto istruttivo: sono passati da una vita abitudinaria, nella quale i ritmi venivano dettati dalla campanella, a qualcosa di completamente diverso, nel quale devono assumersi nuove responsabilità e organizzare il tempo in maniera diversa sia durante le lezioni sia durante il resto della giornata.

Come ha lavorato l’Iprase, in queste settimane?

I livelli e i piani di lavoro sono tanti e complessi. Prima di tutto abbiamo offerto un aiuto sul piano delle competenze strumentali, perché ci sono piattaforme innovative che non tutti erano in grado di utilizzare. Il secondo livello è quello organizzativo: la scuola è un sistema complesso e ci siamo impegnati molto per fare in modo che l’approccio complessivo fosse coerente e organico. Penso ad esempio alla necessità di predisporre le riunioni collegiali e i consigli di classe, che rimangono fondamentali.

E poi?

Poi abbiamo lavorato sulla didattica. I docenti organizzano le lezioni a distanza con i loro studenti, ma è chiaro che dietro c’è tutto un lavoro organizzativo, perché gli orari vanno “incastrati” tra loro. Poi il nostro lavoro si è concentrato anche sulla dimensione pedagogica, perché insegnare a distanza oppure in classe non è la stessa cosa. Il modello classico prevede l’insegnante che parla e i ragazzi che ascoltano in aula, mentre la didattica a distanza prevede anche che gli alunni abbiano molti momenti personali di studio. Nel complesso l’impegno della scuola trentina è stato enorme: la scuola nella sua finalità ha certo una dimensione istruttiva ma anche di socializzazione ed educativa. In questa situazione è difficile mantenere la dimensione relazionale tra i docenti e gli alunni e tra gli alunni stessi.

Quali sono state le prime difficoltà nella didattica a distanza?

All’inizio non c’era una prospettiva temporale chiara. Non si sapeva quanto sarebbe durata la chiusura delle scuole e si è quindi puntato prima di tutto sulla necessità di mantenere i contatti, vale a dire sulla dimensione relazionale. Ma quando si è capito che la chiusura delle scuole sarebbe stata prolungata è subentrata di più la fase istruttiva.

Una lezione in classe e una a distanza hanno punti in comune ma sono anche molto diversi tra loro.

È normale che ci sia un approccio diverso da parte degli studenti e dei professori. La didattica a distanza non è replicare le lezioni che sarebbero state fatte nei giorni “normali”. Diciamo che due ore di didattica in presenza possono corrispondere a un’ora di didattica a distanza: bisogna tener conto anche del fattore tempo, nell’insegnamento di queste settimane.

Cosa abbiamo imparato dalla didattica a distanza? E cosa resterà quando le scuole riapriranno?

Resterà una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza del digitale, che prima veniva visto in maniera un po’ marginale. Oggi tutti hanno compreso che il digitale può essere complementare rispetto alla formazione in presenza. Certo, il digitale non può sostituire la scuola in maniera esclusiva, ma le due dimensioni sono importanti e l’una sostiene l’altra. Le stesse famiglie hanno acquisito una maggiore consapevolezza, anche perché hanno visto che i loro figli si sono responsabilizzati rispetto al nuovo modo di affrontare la scuola.

In molte scuole la dimensione digitale e informatica era già presente.

A macchia di leopardo esistevano già diverse sperimentazioni. A molti ragazzi veniva chiesto di lavorare a casa. Si tratta di esperienze che verranno ampliate, ma si dovranno fare nuovi ragionamenti sull’intera dimensione organizzativa delle scuole. Nella didattica a distanza, ad esempio, la valutazione non è solo frutto dell’interrogazione, ma arriva dopo un processo, nel quale i docenti verificano se i ragazzi sono stati attivi e hanno partecipato con continuità.

In questi giorni è emersa l’ipotesi che gli studenti non verranno sottoposti a una valutazione finale. È preoccupato? Crede che molti studenti molleranno gli ormeggi di fronte alla cancellazione dello spauracchio del voto finale?

Non sono preoccupato. Qualche dirigente giustamente ha detto che sarà l’occasione per andare oltre il voto, che spesso - per una serie di motivi - non corrisponde alla valutazione complessiva di un ragazzo. Non c’è da preoccuparsi, le modalità per capire le competenze degli studenti saranno diverse ma non mancano di certo. Vorrà dire che il voto si darà tenendo conto anche della responsabilità dimostrata dai ragazzi in queste settimane.

Ma non crede che gli studenti stiano perdendo troppe lezioni? Il programma di questi mesi comunque verrà recuperato con grandi difficoltà.

Ma bisogna ragionare nell’ottica dei cicli biennali o triennali. Alcune parti del programma potranno venire recuperate. E poi ci sono sperimentazioni su cicli quadriennali di ragazzi che poi hanno ottimi risultati all’università. Ricordate: è importante non quanto sai, ma come sai e come elabori le tue competenze.

Un problema riguarda però l’accesso al digitale: non tutti hanno una connessione Internet e un computer.

È vero, anche se la diffusione della strumentazione tecnologica è più ampia in Trentino rispetto ad altre zone. Io dico però che la formazione a distanza non si fa solo con le lezioni in diretta, ma ad esempio anche con le mail, un metodo che tra l’altro responsabilizza di più gli studenti. Il tema dell’inclusione per noi è da sempre molto importante, e riguarda non solo chi non ha accesso alla tecnologia, ma anche le persone disabili. Abbiamo fatto molti webinar (seminari sul web, ndr) sulla dimensione dell’inclusione, e si sono messi a disposizione diversi assistenti educatori e facilitatori. Ma tornando alla didattica a distanza vorrei aggiungere un altro aspetto.

Quale?

Non ci sono strumenti di serie A o di serie B. Se voglio puntare più sulla relazione, anche i videomessaggi Whatsapp vanno benissimo, perché hanno grandi potenzialità. Dobbiamo cambiare la nostra visione delle cose: non facciamo come quando sono arrivate le lavagne interattive, che alcuni hanno utilizzato come le semplici lavagne di ardesia. La scuola non è solo istruttiva, non è solo insegnamento. Giustamente gli insegnanti di tante scuole dell’infanzia e primarie puntano più sull’aspetto relazionale, mantenuto in forme che sono meno plateali ma non meno importanti.

La didattica a distanza è più facile per le università e le scuole superiori, e molto più difficile per le elementari.

È chiaro che le università possono sfruttare al meglio le potenzialità della didattica a distanza. Ma abbiamo avuto tante ottime esperienze anche nelle scuole elementari, con la partecipazione ad esempio di più insegnanti in contemporanea. In questo caso le “lezioni” sono naturalmente più brevi, ma davvero danno la dimostrazione di una scuola aperta. E poi tanti insegnanti delle primarie hanno preparato unità didattiche trasversali, mandando videomessaggi con storie e racconti, chiedendo poi di lavorare a casa, magari con il coinvolgimento di genitori, nella logica di mantenere tutti attivi.

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