Medici e infermieri, rischio crollo «Spariti i segni delle maschere ma restano le cicatrici dentro»

di Patrizia Todesco

C’è stata una fase 1, dove c’era da lavorare tantissimo e dove per medici e infermieri non c’era tempo per avere paura. Ora, nella fase 2, tutto lo stress accumulato in queste settimane sta venendo a galla e in una situazione di incertezza come quella che tutti stiamo vivendo le fragilità si amplificano. Recentemente, tra il personale dell’Azienda sanitaria, si è registrato un episodio di autolesionismo, ma ci sono state anche persone che sono “scoppiate” e che sono state trasferite o messe momentaneamente a riposo. «Non c’è da stupirsi - spiega Elena Bravi, direttore della Psicologia clinica dell’Azienda sanitaria - Io non amo fare il paragone con la guerra, ma in questo caso è calzante. Durante la guerra, nella fase dell’emergenza, l’adrenalina è a mille e tutti combattono. Il problema sono i reduci. Depressione, ansia, senso di vuoto emergono dopo. Un professionista, durante un incontro, mi diceva che i segni delle mascherine sui volti sono scomparsi ma dentro sono rimasti».

Dottoressa Bravi, dunque conferma che c’è una fase due anche dal punto di vista psicologico.

I medici e gli infermieri che hanno lavorato in prima linea, quelli più esposti e che hanno avuto un’esperienza professionale e umana potente, hanno riportato di aver avuto un grande arricchimento sul piano professionale e umano da questa esperienza perché erano tenuti insieme da un obiettivo comune: l’aiuto verso gli altri. Un altro fatto a cui non si pensa è che questi professionisti non hanno dovuto occuparsi solo di curare e assistere, ma hanno dovuto anche gestire gli affetti relazionali. Ad esempio, diceva un’infermiera, che un familiare le aveva dato dell’olio benedetto da mettere su un suo caro. Un gesto che ha suscitato in lei sentimenti contrastanti. Da una parte l’imbarazzo per aver ricevuto un compito solitamente riservato a un sacertote, dall’altra l’onore di essere stata prescelta. Molti operatori di rianimazione dicevano che il momento peggiore era quando il paziente si svegliava perché a quel punto dovevano relazionarsi con lui, con le sue paure e la sua solitudine.

Fino a qui la fase dell’emergenza. Ma poi qualcuno è crollato.

Stiamo parlando di esseri umani. Era inevitabile che succedesse. Dal punto di vista quantitativo non abbiamo visto variazioni straordinarie rispetto al solito. È comunque pericoloso generalizzare in quanto gli individui non sono tutti uguali. Le persone che avevano fragilità di fronte a certi carichi emotivi possono crollare. Prima c’è stato il momento dell’azione, ora che il pericolo sembra scemato tendono a prevalere sconforto, stanchezza, viene fuori lo stress e negli operatori anche la paura legata al senso di incertezza. È un “non tempo” quello che stiamo vivendo, da un lato si vive il sollievo della riconquista di alcune libertà, ma il dover vivere con tutta una serie di prescrizioni e misure di sicurezza ti fa sempre ricordare che non è finita. Questo senso di attesa può creare molto disagio, oltre al fatto in molti operatori c’è bisogno di recupero.

L’Azienda aveva attivato un supporto psicologico per gli operatori, ma anche per i malati e i loro familiari. Che risposta avete avuto?

Sono state circa 120 le persone che hanno chiesto un supporto. Vista la situazione abbiamo deciso di proseguire con il servizio. Sono cambiati i bisogni, ma per certi aspetti ora più che mai c’è necessità di aiutare. Fino a che una persona è molto impegnata in un compito solitamente tutto va bene anche perché si sono creati gruppi molto affiatati. Quando hai un nemico fuori da combattere è facile compattarsi. Ora stiamo lavorando proprio su questi gruppi per capire se c’è stato, sia nella composizione delle equipe che nelle modalità di lavoro, qualche aspetto positivo da poter tenere anche per il futuro.

Lei ha parlato di “amplificazione delle fragilità”. Immagino che ad avere bisogno di un supporto psicologico non saranno solo infermieri e medici, ma in generale cresceranno i bisogni della popolazione su questo fronte.

Gli accessi aumenteranno molto. Le persone hanno già iniziato a chiamare. Chi già prima soffriva di ansia, di disturbi della personalità, di depressione ha ora bisogno di riprendere i contatti con i nostri servizi. Poi sicuramente ci saranno nuovi utenti.

Ci sono categorie più a rischio di altre in questo momento.

L’isolamento a cui sono stati costretti gli anziani è stato necessario per la prevenzione del contagio ma dal punto di vista della qualità delle relazioni è stato molto faticoso. Bloccati a casa per mesi, ora fanno fatica a riprendere. Anche per i bambini e i ragazzi sono state settimane difficili. E comunque le persone che già prima soffrivano di depressione o disturbi dell’umore hanno particolarmente sofferto dell’isolamento e gli effetti stanno venendo piano piano a galla.

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