Gavosto (fondazione Agnelli) «Un errore non aver fatto tornare gli studenti in aula»

di Paolo Micheletto

Un Paese dove il calcio torna a giocare ma lascia chiuse le scuole non ha futuro. È stato un errore non riaprire gli istituti. E il ritorno - in settembre - si annuncia con molte incognite: «Non c'è la volontà di far recuperare ai ragazzi quello che hanno perso in questi mesi», dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli, osservatorio da sempre molto impegnato nella ricerca sul tema dell'istruzione.
Dottor Gavosto, intanto gli esami di maturità sono iniziati in una forma del tutto inedita.
Ma quello degli esami di maturità è un falso problema: altri paesi, come la Francia, hanno deciso di andare direttamente a fare gli scrutini.
Senza la maturità?
Guardi, l'esame di maturità prima di tutto non è selettivo, nel senso che passa il 99,7% dei candidati e viene ammesso più del 95%. Rispetto a 50-60 anni fa è un esame che non ha alcun valore, perché lo passano tutti: non a caso le università non usano il voto finale ma fanno il loro test d'ingresso. I voti hanno inoltre un forte elemento di arbitrarietà, quindi avrei evitato di fare gli esami. Avrei fatto gli scrutini anche per l'ultimo anno.
Lo pensava anche prima dell'emergenza Covid-19?
Certo. Altri paesi hanno ad esempio la correzione centralizzata, da noi invece i giudizi sono disomogenei e legati alla singola commissione. L'esame di maturità non ha alcun valore.
Resta però il momento romantico della Notte prima degli esami: Venditti, un film cult per i ragazzi, l'esame di matematica che qualcuno sogna anche a cinquant'anni.
Guardi, tutti abbiamo visto il film ma il momento romantico non mi convince molto, preferirei una scuola che funziona in tutti i cinque anni, anzi nei tredici anni precedenti.
Quali saranno le conseguenze della lunga chiusura delle scuole?
Ci sono molti motivi di preoccupazione. Il lungo periodo di assenza della scuola può avere conseguenze negative sugli studenti. Negli Stati Uniti si sa che la chiusura ha determinato la caduta del 50% dell'apprendimento di matematica, ad esempio. I bambini e i ragazzi hanno perso tanta scuola. Ci sono poi categorie più esposte delle altre: penso al mondo delle disabilità, agli studenti che avevano difficoltà con le connessioni Internet, alle famiglie non in grado di aiutare gli studenti a casa. Di fronte al pericolo di dare ferite vere e proprie agli studenti mi sarei aspettato un impegno maggiore.

Vale a dire?
Non avrei chiuso l'anno attorno al 10 giugno, come se non fosse accaduto nulla. L'anno scolastico lo avrei prorogato il più possibile, e soprattutto mi sarei impegnato per iniziare il prima possibile, non oltre il 1° settembre. Ma la direzione mi sembra opposta: ora si dà là priorità anche alle elezioni regionali e al referendum, con la conseguenza che si andrà a fine settembre. Si tratta di un messaggio completamente sbagliato: dobbiamo fare più scuola, perché i ragazzi devono recuperare tutto quello che non hanno fatto durante il lockdown. In più c'è un momento di smarrimento delle scuole, perché non sanno cosa fare. Fino a un mese fa non si sapeva cosa fare tra turni sì e turni no, lezioni in presenza o a distanza, mentre adesso il messaggio è che sarà tutto tranquillo e che cercheremo di tornare a scuola in normalità. Ma io non so se sarà cosi, come dimostra la Cina, dove l'allarme si ripropone proprio in questi giorni. Il problema è che le scuole dovrebbero avere delle linee guide su distanziamento sociale, turni al mattino e al pomeriggio, orari prolungati e altro.
Secondo lei si dovrà partire dall'«allungamento» degli orari, con lezioni anche al pomeriggio?
È ovvio che non si possono dare prescrizioni uguali per tutti, perché le scuole sono diverse. Ma l'obiettivo comune deve essere quello di fare più scuola, per recuperare quello che non è stato realizzato nei mesi scorsi: non dimentichiamo che da marzo ad oggi i ragazzi hanno fatto poco o addirittura nulla.
Lei quindi propone più ore di lezione a partire da settembre, anche se non ci dovesse essere alcuna emergenza sanitaria.
Esattamente. E bisogna organizzarsi per questo: ci sarà bisogno ad esempio di più fondi per pagare le ore straordinarie agli insegnanti, ma saranno soldi ben spesi.
Altre proposte per l'inizio del prossimo anno scolastico?
Penso al tema dell'assegnazione delle cattedre. Il ministro Azzolina non può procedere come negli anni "normali". In molti casi le cattedre saranno assegnate a novembre se va bene: i ragazzi si troveranno quindi a recuperare le loro carenze con altri professori e magari a orari ridotti. C'è il rischio che il solito carosello di inizio anno scolastico sia peggiore del solito.
Quale soluzione propone?
Una soluzione logica ma di buon senso: blocchiamo gli organici, lasciando al loro posto i docenti che hanno interrotto il lavoro a marzo. Del resto la situazione è eccezionale. Cerchiamo almeno di non mandare la scuola allo sbaraglio: poveri presidi, alle prese con una situazione davvero difficile.
Secondo lei si doveva tornare a scuola prima della fine dell'anno?
Capisco che con il senno di poi sia più facile dirlo e comprendo pure la necessità di essere prudenti. Ma - vista come è andata la situazione - ad aprile avremmo potuto riprendere la scuola, a parte la Lombardia, il Piemonte e un po' la Liguria. O almeno andare avanti fino a luglio con la didattica a distanza o in presenza, se possibile. Non riesco a capire questa parvenza di normalità, per cui si tratta questo anno come tutti gli altri.
Secondo lei gli insegnanti avrebbero rinunciato alla lunga vacanza estiva?
Forse qualcuno sì. Del resto tanti insegnanti si sono dati da fare nei mesi di chiusura delle scuole, con videoconferenze, lezioni a distanza, l'utilizzo delle piattaforme digitali. Io credo che di fronte alla tutela degli studenti molti avrebbero reagito positivamente: ho la sensazione che gli insegnanti abbiano capito la gravità del momento. Serviva però una chiamata alle armi, che non c'è stata.
In Trentino 340 docenti hanno firmato un documento per ribadire che la didattica a distanza dovrà essere utilizzata solo in via eccezionale.
Nessuno ha mai pensato che la didattica a distanza potesse sostituire la scuola. Ci siamo trovati davanti a qualcosa di eccezionale e di inaspettato.
Resterà qualcosa di positivo?
Qualcosa rimarrà. Prima di tutto abbiamo capito che un certo bagaglio di competenze digitali deve far parte di ogni professore. Molte cose si potranno fare anche dopo: penso al ragazzino malato che può seguire le lezioni da casa o alla possibilità di recupero in via individuale del singolo studente. Mi chiedo poi: ha senso che ogni anno i docenti facciano la loro lezione sugli Etruschi, o sarebbe meglio che i ragazzi si ascoltassero a casa la lezione registrata in modo da poterne discutere il giorno dopo in classe? Ma ripeto: non si potrà più fare a meno della formazione digitale dei docenti.
Tutti i prof e gli studenti hanno utilizzato la loro dotazione personale per le lezioni a distanza.
Per i docenti in realtà negli anni scorsi c'era stato un piano sulla scuola digitale che aveva investito sulla formazione, che però di fatto non è obbligatoria. E per quanto riguarda la dotazione informatica c'è la carta del docente, che può essere utilizzata in questo modo.

 

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