L'assassinio di Rostagno La Cassazione conferma l'ergastolo al mafioso Virga

Dopo 32 anni dall’agguato mortale a colpi di fucile a pompa e pistola calibro 38, l’omicidio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno - avvenuto a Lenzi di Valderice nel trapanese la sera del 26 settembre 1988 - è ancora un caso irrisolto; l’unica cosa certa è che si trattò di un delitto di mafia, nonostante tanti insabbiamenti e depistaggi abbiano cercato di sviarlo dalla pista di Cosa nostra, e che a ordinarlo fu Vincenzo Virga, allora boss di Trapani.  Manca ancora l’esecutore materiale dell’omicidio.

È questo l’esito del verdetto della Cassazione che ha confermato l’ergastolo per il capomafia mandante dell’esecuzione, e il proscioglimento di Vito Mazzara, condannato in primo grado al carcere a vita con l’accusa di essere stato l’uomo che sparò a Rostagno, probabilmente insieme ad altri complici mai identificati.
Mazzara è comunque in prigione dove sconta il fine pena mai per l’omicidio dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, avvenuto nel 1995.

Giustizia a metà dunque per Mauro Rostagno, ricordato da molti anche a Trento dove aveva vissuto, studiato, partecipatoalla lotta politica: un uomo che in Sicilia con le sue inchieste su Radio Tele Cine era entrato nel mirino di Cosa Nostra, e  per i suoi familiari che agli ‘ermellinì, insieme alla Procura di Palermo, hanno chiesto di annullare l’assoluzione di Mazzara e riaprire l’appello bis.

Anche il procuratore della Cassazione Gianluigi Pratola aveva condiviso le istanze delle parti civili e dei magistrati inquirenti per riportare Mazzara sul banco degli imputati di questa travagliatissima vicenda giudiziaria che ha impiegato venti anni per arrivare all’apertura del processo di primo grado, e poi altri dodici nel cammino fino alla Suprema Corte.

Il processo di secondo grado, ora convalidato dai supremi giudici, ha confermato nel 2018 che Rostagno - leader della contestazione nata dal ‘68, marxista non violento e pacifista, tra i fondatori di Lotta Continua - svolgeva un «esemplare lavoro giornalistico» dall’emittente Rtc che dava fastidio alla mafia dalla quale aveva ricevuto messaggi intimidatori.
Camurria, ossia rompiscatole, lo aveva chiamato Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo. Indagando sulla morte di Rostagno - che riuscì a salvare la vita di Monica Serra, la giovane cronista praticante che era con lui quando gli spararono sulla sua Duna bianca - la magistratura si è scontrata con omissioni, sottovalutazioni inspiegabili, depistaggi che portavano fino all’omicidio del commissario Luigi Calabresi.

Perfino il tentativo di attribuire la matrice dell’esecuzione di Rostagno a dissapori all’interno della comunità Saman, il centro di aiuto ai tossicodipendenti sostenuto anche da Bettino Craxi e fondato dal giornalista sociologo e dal suo amico Francesco Cardella nel 1981 in contrada Lenzi di Valderice, a poche centinaia di metri dal luogo dell’agguato del 1988, reso ancora più buio da un misterioso black out.

Murales per Rostagno a Torino

La figlia di Rostagno, Maddalena, attivista antimafia, oggi ha 47 anni ed era una ragazzina adolescente quanto le uccisero il padre. Sui social ha scritto - quando ha saputo dell’udienza in Cassazione -  «l’ atto finale me lo vivrò chiusa in cameretta e non in un’aula di Tribunale». «Papà potessi raccontarti cosa stavo facendo quando mi è stata confermata, neanche Kafka, sempre le solite storie di ego smisurato e piccioli... Madonna mia quanto avrei bisogno di respirare adesso con te accanto».

Muro Rostagno era nato a Torino il 6 marzo 1942, quando fu assassinato a Lenzi di Valderice aveva dunque 46 anni.

A Torino Mauro Rostagno fin da giovanissimo aveva avuto rapporti con Raniero Panzieri e con la sua rivista Quaderni Rossi, di matrice socialista e ispirata ad un marxismo critico, estraneo a qualunque dogmatismo ideologico.

«Dopo alcune esperienze di lavoro all’estero - ricorda l’ex senatore dei verdi Marco Boato in un recente intervento sull’Adige -  nell’anno accademico 1963-64 si è iscritto al corso di laurea in Sociologia della appena nata Università di Trento (all’epoca Istituto superiore di scienze sociali).
Nel 1966 si impegnò con il nascente Movimento studentesco di Sociologia per ottenere il riconoscimento legislativo in Parlamento del corso di laurea, fino allora privo di qualunque legittimazione giuridica.

Nel corso del triennio 1967-68-69 Mauro Rostagno diviene il più riconosciuto leader del Movimento studentesco anti-autoritario trentino, conosciuto anche a livello nazionale ed europeo.

Rostagno a un picchetto alla Michelin di Trento

Con la nuova direzione di Francesco Alberoni, dall’autunno 1968, diventa uno dei principali interlocutori dell’esperienza della "Università critica", l’esperimento più avanzato a livello italiano ed europeo di riforma universitaria, quale risposta alle istanze di rinnovamento proposte dal Movimento studentesco.

In particolare nel biennio 1968-69 Rostagno diventa anche il principale interlocutore del rapporto col Movimento sindacale e operaio trentino, guidato dai sindacalisti Giuseppe Mattei, Sandro Schmid e Livio Del Buono (Cisl-Cgil-Uil), in contatto anche con i leader sindacali nazionali Bruno Trentin e Luigi Macario.

Mauro Rostagno in quegli anni - e anche dopo, lungo la prima metà degli anni ‘70 - è stato un autentico leader antiautoritario, non solo nella critica pratica alle degenerazioni istituzionali, ma anche nel rifiuto del dogmatismo marxista-leninista e della burocratizzazione della politica, pure di quella che si pretendeva rivoluzionaria.

Fu un leader imbevuto di marxismo critico, ma anche di controcultura americana e di critica spietata dei totalitarismi del socialismo reale. Era un leader carismatico e movimentista quasi per natura: dovunque operasse - dalla sua Torino a Trento, da Trento a Milano, da Milano a quella Sicilia (prima a Palermo negli anni ‘70 e poi a Trapani negli anni ‘80), che divenne infine la sua terra di elezione - egli sapeva suscitare iniziative ed emozioni, conflitti e contraddizioni, esperienze e trasformazioni.

Dopo essersi laureato a pieni voti (110 e lode) in Sociologia, si trasferisce prima a Milano e quindi a Palermo, come esponente della sinistra extra-parlamentare ma anche come ricercatore nell’Università siciliana, avendo inoltre rapporti col cardinale Pappalardo di Palermo. Terminata alla fine del 1976 la vicenda politica di ?Lotta continua?, ritorna a Milano, dove dà vita all’esperienza del locale alternativo Macondo.

Successivamente si trasferisce con la famiglia (la compagna Chicca Roveri e la figlia Maddalena) in India, a Poona, dove aderisce al movimento arancione.

Rientrato in Italia all’inizio degli anni ‘80, fonda (con Francesco Cardella e Chicca Roveri) in Sicilia, a Lenzi di Valderice (Trapani), la Comunità Saman per tossicodipendenti, rifuggendo da qualunque modello costrittivo e basandosi sulla responsabilizzazione individuale e comunitaria dei giovani che ne entravano a far parte.

Negli ultimi anni della sua vita si dedica inoltre con sempre maggiore impegno all’attività giornalistica nella televisione locale Rtc, che lo fece diventare rapidamente una figura universalmente conosciuta e riconosciuta in quel territorio, denunciando nelle sue trasmissioni quotidiane la presenza della mafia e della criminalità organizzata, la corruzione politica, le infiltrazioni massoniche, il degrado ambientale. Ebbe occasione di conoscere e intervistare, tra i molti altri, lo scrittore Leonardo Sciascia e i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Fu questa sua attività di giornalismo militante - condotta a viso aperto e senza alcuna misura di sicurezza personale - a costargli la condanna a morte da parte della mafia trapanese, che lo uccise la sera del 26 settembre 1988, mentre rientrava, come tutti i giorni, dalla sede di Rtc alla Comunità Saman.

In realtà Mauro Rostagno è morto davvero come un eroe civile, prima ancora che politico: un eroe dell’antimafia militante e non rituale, un eroe della libera informazione e della coraggiosa controinformazione, un eroe di quella società civile, da cui sorgono nelle terre più difficili, come la Sicilia, figure eccezionali nella loro normalità come Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Libero Grassi, che si affiancano a quelle di magistrati e di appartenenti ai corpi di polizia dello Stato, che hanno sacrificato la loro vita per un ideale e un servizio di giustizia e libertà.

È questo straordinario amore per la vita, per la libertà e per la giustizia che segna il percorso di Mauro Rostagno attraverso le molte tappe della sua vita.

La critica dell’ideologia, il rifiuto del totalitarismo palingenetico, la trasgressione programmata e libertaria, la lotta per la verità a tutti i costi - appunto l’amore per la vita in tutte le sue forme - fecero di lui sia un autentico ribelle nella sua giovinezza, sia anche un instancabile operatore sociale e culturale nella fase successiva e infine il protagonista, di un giornalismo libero e spregiudicato, capace di rompere i muri dell’omertà istituzionale, di smascherare le connivenze mafiose, di denunciare le vergogne sociali, di riscattare ad alta voce il silenzio dei poveri, dei diseredati e degli oppressi».

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