Grosselli: "Nera, in Val dei Mocheni, faceva il formaggio ma studiava da sociologa la vita sulle Alpi"

di Renzo Maria Grosselli

Agitu Ideo era una donna. Agito Ideo era nera. Agitu Ideo era giovane. Agitu Ideo era bella. In un mondo che si sta trasformando in un covo di bestie. Agito Ideo è stata ammazzata. Ho avuto l’onore, l’orgoglio e la felicità di essergli stato amico. Lei che era etiope, da alcuni anni, lassù nella bellissima Valle dei Mocheni, per pazzesco che possa apparire, lavorava attorno al concetto di cultura alpina. Di storia delle Alpi e quindi della nostra terra. Anche attraverso il suo rapporto con le capre. E con il formaggio.

Agitu era il simbolo di un mondo coraggioso e aperto. Di un mondo cosciente del fatto che unicamente con l’apertura intelligente, col dialogo fermo, con la mescolanza (sì la mescolanza, l’incontro del sangue e delle culture) si può affrontare una globalizzazione gestita per ora solo da un liberalismo mercantilista teso unicamente al guadagno. Agli affari.

Si era presentata un giorno a casa mia. Semplicemente suonando, Agitu. E nelle sue mani, bianche sul palmo, come le mani dei neri e dei mulatti, portava un mio libro. Che parlava di Ottocento e di trentini in America Latina. Non credo lo avesse letto tutto. Ma sapeva molto sull’argomento, si era informata Agitu. Aveva studiato, anche tanto. Cosa che non avevano fatto molti di coloro che ne parlavano come di “una negra”. La seconda cosa di cui mi accorsi era la profondità buona dei suoi occhi scuri. Entrò. E mi spiegò, lei etiope, che stava invitandomi a tenere una conferenza… a Frassilongo. In un maso in cui lei allevava un pugno di capre e, con le sue mani, nere sul dorso e bianche sul palmo, faceva il formaggio. La invitai a sedere, la conoscevo per via dei giornali. Parlammo un’ora e fu una bella ora. Mi disse qualcosa di lei, del suo peregrinare nel mondo. Africa, Europa. Capii che portava ferite profonde. Che cercava pace. Anche se all’apparenza sembrava una donna fortissima, una combattente. E lo era ma spesso i più coraggiosi combattenti celano qualche piaga nell’anima. E fu così che io capii come e perché una donna africana, che abitava in Bersntol, si era avvicinata alla nostra terra. Perché già stava amando le nostre montagne. Perché erano come le sue montagne, di quella Etiopia che il fascismo guerresco e straccione, aveva violentato. Per non essere da meno di altri colonialismi.

Agitu mi disse che non c’erano soldi per compensare il mio impegno. E mi vergognai, normalmente non chiedo soldi, solo attenzione. La rassicurai ma mentre lo facevo lei mi fece vergognare ancora di più: tirò fuori da chissà dove, forse da una borsa di nylon, una carta. La svolse. Era formaggio. Il suo formaggio. Un grande pezzo di formaggio. «No, non serve ed è troppo...» seppi solo balbettare. Ma il suo sorriso stroncò la mia timidezza. Nel suo paese una nuova amicizia nasce con un dono. Mi avrebbe invitato, lei e probabilmente anche la sua o il suo assessore alla cultura, una seconda volta. Mesi dopo. Per parlare di altri emigrati trentini. Non più in Brasile. In Cile stavolta. Un’altra conferenza lassù, dove finisce il cielo. Certo, lei voleva dire a quella parte di trentini che, sentiva, la rifiutavano (ma tanti, forse di più, le volevano bene), che noi e le nostre Alpi abbiamo alle spalle secoli di emigrazione.
Aveva preparato al meglio le due serate. Il pieno in quella saletta in cima ai monti, in cima al mondo, in quella commovente, di bellezza, Frassilongo. Perchè era preparata Agitu Ideo. Perché studiava Agitu Ideo. E allo stesso tempo curava le sue poche capre e faceva il formaggio. Donna, nera, intelligente e bella. Che portava dentro ferite e gioie come fossero doni. Di quel suo dio a cui credeva fortemente.

Era donna. Era nera. Era bella. Era una di noi Agitu. Che il tuo spirito aperto e profondo e generoso e semplicemente bello ci sia vicino Agitu. Perchè questo mondo sta rischiando di cadere in mano alle bestie.

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